L’Europa, il Pnrr e il futuro del Paese. Garantire l’equilibrio politico di governo è la responsabilità primaria dei partiti della maggioranza. 

Il testo è preso dal nuovo numero 0 del periodico “Democraticicristiani – Per l’Azione” dell’Associazione Nazionale dei Democratici Cristiani (ANDC). In fondo all’articolo si può digitare il link per accedere alla pubblicazione in pdf.

L’impegno del governo per il rispetto degli steps previsti per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, un’occasione unica per il superamento di cronici ritardi e criticità, non deve essere assolutamente vanificato e/o ritardato, ai fini di allinearci agli standards di crescita e di produttività degli stati più avanzati di quella famiglia europea di cui intendiamo restare parte integrante e, possibilmente, in quanto cofondatori, tra i Paesi trainanti. All’origine di questo grande intervento finanziario dell’Unione Europea, in questo caso non più penalizzante, limitativo e prevalentemente vincolistico (benché vincoli ce ne siano), ma incentivante e propulsivo rispetto alle esigenze di crescita e di espansione di un’economia già in affanno, si colloca proprio la tragedia pandemica che ha persuaso l’Europa a invertire la rotta delle politiche rigorose e tendenzialmente recessive.   

E non possiamo non ricordare, con riconoscenza, il ruolo svolto, con passione ed abnegazione, in questa difficile congiuntura, dal Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, venuto prematuramente a mancare da pochi giorni, lasciando un grande vuoto e un altrettanto grande rimpianto. Come italiani, siamo i maggiori beneficiari dei due principali strumenti dell’iniziativa Next Generation EU, il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF, 191,5  miliardi da impiegare nel quinquennio 2021-2026) e il Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori d’Europa (React-Eu, 13 miliardi). Aggiungendo le risorse del Fondo Nazionale Complementare (30,6 miliardi), istituito per integrare l’apporto europeo all’attuazione del PNRR, si raggiunge un importo di 235,1 miliardi.   

Già penalizzata da tempo da una bassa crescita della produzione e degli investimenti, da un’alta percentuale di popolazione sotto la soglia della povertà assoluta e un alto tasso di giovani rimasti esclusi da formazione e lavoro, una percentuale di donne occupate molto inferiore alla media europea, una peculiare esposizione alle offensive ambientali e climatiche, tra i paesi più duramente colpiti dall’emergenza pandemica, sotto il profilo sanitario ed economico, l’Italia, in questa fase,  può veramente avviare un secondo Rinascimento, con un’avveduta, efficiente e tempestiva gestione delle nuove risorse.   

Uno strumento che impone, peraltro, di superare i cronici ritardi nelle cosiddette riforme strutturali (giustizia, fisco, pubblica amministrazione, accesso al mercato del lavoro, semplificazioni, concorrenza), nell’adeguamento alla rivoluzione digitale, nell’impulso alla ricerca e alla formazione, nella realizzazione di adeguate infrastrutture. Il Piano RRF, articolato in 6 missioni, 16 componenti, 63 riforme, 134 investimenti, prevede una sua tempistica e un sistema articolato di procedure, competenze e controlli.    Insieme all’emergenza pandemica, costituisce la grande sfida per il governo Draghi e per l’ampia maggioranza parlamentare che lo sostiene.   

Complessità e tecnicismi del Piano, con il contorno di riforme che dovrà accompagnarlo, richiederebbero, tuttavia, una più accurata ed efficace campagna informativa da parte del governo stesso, per assicurare una più diffusa conoscenza della tempistica, delle potenzialità, dei risultati, dei benefici che ne deriveranno per la nostra comunità nazionale e per il nostro sistema produttivo.    

I complessi processi di attuazione richiederanno una continuità e una coerenza operativa che andrebbe tenuta, per quanto possibile, al riparo da scossoni derivanti da eventuali smottamenti del quadro politico e dalla compromissione di quella stabilità di governo che sembrava profilarsi in seguito all’avvento di Draghi alla guida dell’Esecutivo.   Ma l’imminente appuntamento per l’elezione del Presidente della Repubblica costituisce, ora, un banco di prova piuttosto insidioso della tenuta della grande coalizione.   

Se una maggioranza diversa e più ristretta dovesse esprimere il nuovo inquilino del Quirinale, difficilmente si potrebbe evitare il contraccolpo sull’alleanza di governo.   Il dibattito in corso, segnato da veti e contro-veti, già determina un logoramento di nervi tra le forze politiche e non sappiamo ancora se verrà individuata una candidatura condivisa da tutte le forze di governo e magari anche dall’opposizione.    

E se questo non si rivelasse possibile e si arrivasse ad una soluzione a maggioranza più ristretta (“Ursula” o anche più contenuta), allora le elezioni politiche potrebbero ritenersi più vicine, rispetto alla scadenza naturale e, a quel punto, su piani, programmi e scadenze del Pnrr si abbatterebbero le conseguenze di una deriva politica incerta e precaria, di una precoce discontinuità che potrebbe innescare un rallentamento della fase di avviamento dei progetti. 

Un duplice e contestuale accordo tra tutti i partiti di maggioranza sul nome del Capo dello Stato e, qualora questo coincidesse con quello dell’attuale premier, su quello del nuovo Presidente del Consiglio, eviterebbe il rischio di uno stallo che non favorirebbe il tempestivo raggiungimento degli obiettivi di sostegno e di rilancio perseguiti dal Piano europeo.    

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