Libia, una polveriera alle porte dell’Europa

Ormai sono molti i segnali che non lasciano ben sperare che il conflitto si possa risolvere velocemente.

Il 10 giugno, due fregate turche hanno mirato alla fregata francese Coubert , che stava cercando di impedire il contrabbando di armi nel Mediterraneo in Libia, come riferito da Parigi alla NATO, l’organizzazione alla quale appartengono i due paesi. Una nave da guerra dell’Alleanza atlantica non aveva mai puntato su un’altra nave alleata.

Sul terreno libico, la Turchia ha subito un attacco aereo il 5 marzo alla base militare di Al Watiya, situata ad est di Tripoli, a una trentina di chilometri dalla Tunisia. Non è noto chi lo abbia effettuato, anche se la Russia o gli Emirati Arabi Uniti sono sospettati. Il sistema di difesa aerea turco è stato distrutto e Ankara ha promesso vendetta.

Mentre Parigi ha ripetutamente denunciato il fallimento della Turchia nel controllo sulle armi. 

Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha avvertito che l’interferenza straniera nel paese ha raggiunto “un livello senza precedenti”. In un paese di soli sei milioni di abitanti e che ha le maggiori riserve di petrolio in Africa, diverse importanti potenze militari stanno accumulando sempre più armi, più mercenari e più morti.

Solo due anni fa la presenza della Russia sul terreno esisteva a malapena. Ora, il Cremlino opera mimetizzato con i mercenari della compagnia Wagner, legata all’imprenditore russo Yevgeni Prigozhin, fedele alleato di Vladimir Putin. 

Gli schieramenti sono così composti.

Il governo di Tripoli riceve sostegno dal Qatar (finanziariamente), dall’Italia e soprattutto, dalla Turchia. Senza la Turchia, Tripoli sarebbe già stata costretta ad arrendersi. 

Ma Tripoli fa gola a molti non c’è solo la sede del governo, ma la sede della National Oil Company (NOC), l’unica autorizzata ad esportare petrolio, che genera il 95% delle entrate fiscali.

Dall’altra parte c’è l’Autoproclamato esercito di unità nazionale di Hafter. Il maresciallo riceve supporto da paesi molto diversi: da un lato, l’Egitto lo protegge, dall’altro l’Arabia Saudita e, soprattutto, gli Emirati Arabi Uniti; e la Russia, attraverso migliaia di mercenari appartenenti all’oscura compagnia Wagner . La Francia ha anche fornito ad Hafter supporto diplomatico e persino militare in occasioni specifiche.

Hafter controlla, oltre a est, il sud del paese. Domina anche i principali giacimenti e porti petroliferi da cui viene esportato il petrolio. Ma non può vendere petrolio all’estero, perché solo il NOC è autorizzato dalla comunità internazionale. 

Il ruolo dell’Unione europea, in quanto tale, sembra irrilevante. Ma almeno tre paesi hanno grandi interessi nel paese. Repsol è presente dagli anni ’70, partecipa allo sfruttamento del più grande giacimento petrolifero della Libia, Sarara, e ha prodotto 11 milioni di barili l’anno scorso. La società francese ne ha prodotto il doppio. E ben al di sopra di entrambi c’è l’italiana Eni, approdata in Libia nel 1959. La sua attività in questo paese rappresenta circa il 9% del volume dell’azienda. Eni produce 1,88 milioni di barili di petrolio al giorno, di cui 170.000 provenienti dalla Libia. La maggior parte dei suoi giacimenti non si trovano in zone di conflitto e solo uno dei suoi campi è stato chiuso in diverse occasioni.

L’UE ha risposto alla crescente instabilità con programmi di aiuti finanziari (finora oltre 360 ​​milioni di euro) e il sostegno alla gestione, ad esempio, dei flussi migratori. Ma la situazione è così delicata che la Commissione europea gestisce il piano dalla Tunisia. Anche la stragrande maggioranza degli ambasciatori occidentali assegnati in Libia lavora da lì, come nel caso della Spagna. L’ambasciatore italiano, tuttavia, così come l’ambasciatore turco, lavorano a Tripoli.

E mentre questa partita continua i leader sembrano inconsapevoli della realtà e dell’orrore che stavano per portare al mondo.