L’illusione del collettivismo. L’eredità di Emmanuel Mounier.

I rischi della «mistica» dell’individuo e dei regimi totalitari

Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano il giorno 18 febbraio 2021 a firma di Rocco Pezzimenti

Il ventesimo secolo aveva aggiunto, agli occhi di Mounier, un altro pericolo a quello di per sé non indifferente della “mistica dell’individuo”, quello della “mistica del collettivismo”. Da queste due aberrazioni l’uomo concreto, la persona, ne era uscito stritolato, sommerso da realtà mostruose. Presa coscienza di questa spersonalizzazione dell’uomo, occorreva riproporre un nuovo rinascimento che superasse non solo la crisi contemporanea, ma recepisse quei germi vitali che da quattrocento anni a questa parte ha prodotto il mondo occidentale.

Si può capire perché Mounier definisca, quella contemporanea, una “comunità scompaginata”, dalla quale scaturiscono le premesse che portano al fascismo. Con il termine fascismo Mounier non si riferisce solo al fascismo italiano, ma ai vari sistemi che da esso traggono origine o ispirazione.

«Chiunque abbia visitato senza partito preso i fascisti, preso contatti con le loro organizzazioni, con i loro giovani, è rimasto impressionato, in effetti, dall’autentico slancio spirituale che sorregge questi uomini violentemente strappati alla decadenza borghese, carichi di tutto l’entusiasmo che procura il fatto di avere trovato una fede e un senso della vita».

Una società appiattita come quella borghese, incapace ormai di entusiasmare la gioventù, non poteva fare altro che spingerla verso gli pseudovalori del fascismo che riproponevano il bisogno dell’autorità e quello dell’impegno personale. Il fascismo paradossalmente proponeva, riconoscendo anche la teoria del merito, una specie di personalismo sia pur costrittivo. A questo presunto umanesimo fascista si è opposto quello comunista con presupposti talvolta speculari e altre volte contrari.

Mounier vuole superare e arricchire questi umanesimi recuperando i contributi specifici che il cristianesimo ha portato al patrimonio spirituale dell’umanità. Questo discorso è da rivolgersi a ogni uomo. Non solo ai dotti come si faceva nell’antichità classica o ai capitalisti, ai camerati o ai proletari, ma a tutti indistintamente. Questo è quello che egli stesso chiama un “sistema politico personalista”.

Mounier dedica una notevole parte della sua riflessione all’economia destando in molti una serie di perplessità e di preoccupazioni perché, nella sua irremovibile critica contro il capitalismo, sembrò a molti appoggiare tacitamente un tipo di economia collettivista.

In realtà voleva soltanto creare un sistema economico che superasse le due realtà economiche in conflitto: capitalismo e comunismo. È comunque soprattutto verso la mentalità capitalista che Mounier riversa le sue critiche maggiori. Il capitalismo ha avuto infatti il torto di aver falsato la natura umana, conferendo alla sfera economica dimensioni esorbitanti e deformando così la visione naturale della vita. Tutto è ormai visto secondo un’ottica economica e tutto ciò che dovrebbe normalmente rientrare in un ordine esclusivamente umano è invece considerato e affrontato con la legge del profitto. Il capitalismo presenta al primo posto l’economia violando, in nome di vantaggi materiali, i più elementari diritti della persona. Per questo erano sorte varie alternative al capitalismo, frutto di un crescente clima di insoddisfazioni. Questo tuttavia non significava né schierarsi dalla parte dei comunisti, né tanto meno provare nostalgia per un passato ormai lontano per sempre e non più riproponibile. Le sue espressioni non lasciano dubbi: «La nostra opposizione al capitalismo deve distinguersi radicalmente da … critiche … falsate alla base. Essa (inoltre) non parte affatto da un rimpianto del passato ma da un desiderio di inventare l’avvenire con tutte le conquiste autentiche del presente».

Occorre perciò stabilire un primato del lavoro sul capitale, della responsabilità personale sull’apparato economico, del servizio sociale sul profitto e degli organismi sui meccanismi. L’attuazione di questi presupposti mira a creare una economia pluralista che costituisce una logica sintesi tra liberalismo e collettivismo. Sintesi che non distrugge i presupposti e i metodi dei due sistemi in lotta tra loro, ma ne valorizzava i meriti e li armonizza tra loro. «Il personalismo difende la collettivizzazione e salva la libertà, appoggiandola a una economia autonoma e agile invece di addossarla allo statalismo». Salvare soltanto la libertà economica era per Mounier un vero e proprio scandalo perché non salvaguardava la moltitudine dei lavoratori dall’incertezza e dalla miseria. Non bisogna solo pensare a tutelare l’esclusivo rischio del capitalista. «Come parlare ancora di rischio, dopo che le imprese capitaliste fallimentari, per il ricorso allo Stato, si sono abituate a una regola che si è felicemente formulata: individuazione dei profitti, collettivizzazione delle perdite?». Questo significava che il sistema capitalista divideva scarsamente i vantaggi, ma distribuiva con rapidità le perdite.

Per superare queste antinomie i cristiani non devono appiattirsi sulle ideologie di destra o di sinistra perché «il mezzo migliore per allontanare il pericolo (di una confusione) è di essere più totalmente cristiani». Vivendo in tale autenticità è possibile aiutare capitalisti e comunisti a dialogare con una maggiore chiarezza evitando quei conflitti che trascinano gli uomini sull’orlo della guerra.

Il tema della pace (e della guerra) non poteva essere trascurato da Mounier perché scaturiva da un problema preliminare: la giustizia. La pace, soprattutto quella cristiana, è frutto di un ordine interiore e di una giustizia visibile che opera efficacemente nella realtà. Mounier ci suggerisce a questo proposito uno dei temi fondamentali del pensiero politico moderno e cruciale nel pensiero politico cristiano: il concetto di ordine. L’ordine sembra essere divenuto, nella difficile vita politica del nostro secolo, una prerogativa degli Stati autoritari e totalitari. Ma così non è in quanto l’ordine socio-politico è il presupposto essenziale delle democrazie, poiché è da un ordine ricercato, voluto e difeso che può nascere la giustizia. Per questo c’è bisogno di recuperare la pace cristiana poiché, scaturendo essa dalla virtù di fortezza, è realmente capace di operare nel concreto superando le astrazioni di cui sono vittime le ideologie.

«La nostra condizione temporale anzitutto ci impone di agire come se la forza brutale fosse assente dal gioco degli uomini, mentre non ne sarà mai totalmente espulsa prima della riconciliazione finale». Solo dal confronto con questo realismo scaturiscono la giustizia e la pace. Per questo occorre la fortezza cristiana. Essa diviene un’utile garanzia contro il sopravvento delle forze brute, contro i falsi pacifismi e contro le debolezze di vario genere che permettono all’ingiustizia e al male di trionfare sul bene.

Pace che genera giustizia, quindi, ma giustizia che sopravvive grazie alla fortezza alimentata continuamente da una silenziosa e fattiva carità