Tratto dall’edizione odierna dell’Osservatore Roamano a firma di Gualtiero Bassetti

Sabato 22 giugno, in occasione della festa di san Tommaso Moro, patrono di governanti e amministratori, la diocesi di San Marino -Montefeltro ha organizzato una giornata di riflessione e preghiera per i politici alla quale è intervenuto il presidente della Conferenza episcopale italiana che ha tenuto una relazione sull’impegno sociale nell’esperienza di Giorgio La Pira. Qui di seguito ampi stralci dell’intervento.

di Gualtiero Bassetti

Il tema — «L’impegno sociale fra profezia e concretezza» — è impegnativo ma, al tempo stesso, molto stimolante. Cercherò di sintetizzarlo in tre concetti, tre bussole che orienteranno la mia riflessione e che sono: l’impegno sociale come vocazione cristiana; la profezia come dono di Dio; l’eredità di La Pira nel mondo di oggi.

Iniziamo dalla prima bussola a cui prima ho fatto riferimento: l’impegno sociale come vocazione cristiana. Per sviluppare questo concetto bisogna porsi una domanda iniziale: chi è stato Giorgio La Pira? Egli può essere definito in molti modi: un politico, un professore universitario di diritto romano, un terziario domenicano oppure un terziario francescano. In moltissimi, ancora oggi, a Firenze lo ricordano come il «sindaco santo». Ognuna di queste definizioni è senza dubbio vera. A mio avviso, però, l’espressione migliore, quella che riesce a sintetizzare la sua versatile personalità, è quella che lo definisce come «un mistico in politica». […]

La sua vocazione politica, come scrisse Carlo Bo, era «il riflesso e l’eco della sua più antica e vera scelta religiosa» avvenuta nella notte di Pasqua del 1924. […] 

La Pira è colui che organizza le Conferenze di San Vincenzo e l’appuntamento settimanale della Messa di san Procolo; è l’insegnante universitario e l’autore de L’attesa della povera gente; è il terziario francescano e il sindaco di Firenze. Per usare le sue parole, il suo programma politico si “fondava” sulla “pagina più bella ed umana del Vangelo: risolvere i bisogni più urgenti degli umili”. L’impegno sociale e politico di La Pira, dunque, non è mai scisso dalla vocazione cristiana. Questo è uno snodo cruciale che va compreso pienamente. Ed è un modello di impegno civile a cui devono guardare, con umiltà, tutti i laici cristiani oggi impegnati in politica.

L’impegno politico per La Pira è stato infatti «un impegno di umanità e santità» che deve «poter convogliare verso di sé gli sforzi di una vita tutta tessuta di preghiera, di meditazione, di prudenza, di fortezza, di giustizia e di carità». La carità e la politica si fondono, in lui, in un legame indivisibile. E lo stesso legame tra carità e politica è al centro della predicazione di Papa Francesco. 

Nella Evangelii gaudium il Papa ha scritto chiaramente che “la politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose di carità, perché cerca il bene comune”. E in un discorso di qualche anno fa, a Cesena, il Papa ha ribadito con forza che la politica non può essere asservita “alle ambizioni individuali o alla prepotenza di fazioni o centri di interessi” ma deve avere come unico grande obiettivo “il bene comune” dell’intera società, senza lasciarsi tentare dalla corruzione e senza lasciare ai margini della società i piccoli e i poveri. 

Il secondo aspetto su cui voglio soffermarmi riguarda la visione profetica di La Pira. Una visione profetica che era indubbiamente un dono di Dio e a cui La Pira era totalmente abbandonato senza opporre resistenze. È doveroso sottolineare che questa sua visione profetica lo ha fatto molto soffrire come hanno sofferto tutti gli uomini di Dio. A causa di questo sguardo, così profondo e lontano nella storia, La Pira è stato spesso etichettato come un ingenuo o un visionario, addirittura come un Savonarola dei nostri tempi.

Solo oggi riusciamo a cogliere la portata della sua visione. In questo periodo storico, infatti, lo sguardo lungo di La Pira assume un significato grandissimo. Proprio oggi, infatti, stiamo vivendo un grande “cambiamento d’epoca”, un eccezionale mutamento storico che ci obbliga a stare svegli, a guardare lontano e ad assumere una prospettiva globale, pur restando ben ancorati alla nostra storia, alle nostre tradizioni e ai nostri luoghi. Da questo punto di vista, la sua visione profetica è di fondamentale importanza: per la Chiesa intera e per l’Italia.

In questa sede voglio mettere in evidenza solo un aspetto del suo spirito profetico: la sua visione internazionale. La Pira viveva in un mondo molto diverso da quello attuale. Viveva in un mondo caratterizzato da un «crinale apocalittico» dominato dallo scontro tra le due superpotenze e dall’incubo nucleare. Eppure, in questo mondo così polarizzato e così armato, La Pira riesce ad opporre alla logica del conflitto, la supremazia del dialogo. Egli è stato uno dei più importanti costruttori della cultura del dialogo nel corso del XX secolo.

Un dialogo cercato con tutte le sue forze nei Paesi dell’Europa dell’Est e in Asia, in America Latina e in Africa. In questo sforzo incessante per il dialogo, il sindaco di Firenze traccia una strada: è il «sentiero di Isaia». Un sentiero di pace che si proponeva di arrivare al disarmo generale trasformando «i cannoni in aratri ed i missili e le bombe in astronavi». Un sentiero estremamente concreto e non fatto solo di discorsi e articoli.

Per raggiungere la pace, La Pira incontra personalmente molti Capi di Stato. In uno di questi incontri, conia una delle sue espressioni più note: «abbattere i muri e costruire i ponti». Un’immagine che mutuò da quello che vide al Cairo nel 1967 dopo aver incontrato il presidente egiziano Nasser. In quell’occasione vide «una squadra di operai abbattere i muri che erano stati costruiti davanti alle porte dell’albergo, come strumenti di difesa antiaerea». In quel gesto vide il simbolo di una grande azione politica e culturale. Bisognava abbattere «il muro della diffidenza» tra i popoli e costruire ponti di dialogo tra le genti. Occorreva, in definitiva, «non uccidere, ma amare».

E questo amore, questa ferrea volontà di dialogo, lo riferiva, per esempio, ad una zona del mondo a tutti noi molto cara: il Mediterraneo. Oggi possiamo dire che questo spirito di dialogo continua a vivere nonostante le intemperie del mondo. Da alcuni mesi, infatti, la Chiesa italiana sta lavorando per l’organizzazione di un incontro che abbiamo intitolato: Mediterraneo frontiera di pace. Incontro di riflessione e spiritualità. Un incontro che incarna la visione profetica di Giorgio La Pira, il quale, sin dalla fine degli anni ’50, aveva ispirato i “dialoghi mediterranei” anticipando lo spirito ecumenico che avrebbe soffiato, poi, con grande forza, nel Concilio Vaticano II. 

Oggi, attraverso questo incontro che si terrà a Bari nel febbraio 2020, abbiamo la possibilità di iniziare a mettere in pratica quella visione profetica partendo proprio da quel mare che La Pira chiamava “il grande lago di Tiberiade” e che metteva in comune i popoli della “triplice famiglia di Abramo”. Si tratta dunque di un’assise unica nel suo genere, promossa dalla Chiesa italiana, che permetterà l’incontro tra tutti i vescovi cattolici dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Un incontro basato sull’ascolto e sul discernimento comunitario. E soprattutto: un incontro che, valorizzando il metodo sinodale, si prefigge di compiere un piccolo passo verso la promozione di una cultura del dialogo e verso la costruzione della pace in Europa e in tutto il bacino del Mediterraneo. […] 

Infine, e vengo all’ultimo aspetto, occorre riflettere sull’eredità del Sindaco Santo nel mondo attuale. Cosa rimane oggi di La Pira? A mio avviso un’eredità profonda, sintetizzabile in tre concetti: la politica come missione e non come ricerca di un tornaconto personale; una tensione verso i poveri, i precari, gli sfruttati e gli emarginati; una ricerca della concretezza.

La Pira è stato uno dei simboli, non l’unico, ma sicuramente uno dei più importanti, di una stagione nobile del cattolicesimo politico in Italia. La stagione dello spirito costituente e della ricostruzione del Paese. La stagione di una generazione di cattolici colta, sobria e appassionata, che aveva conosciuto i disastri del fascismo, che combatteva il comunismo e che faceva politica come «un impegno di umanità e santità» senza cercare nulla per sé stessi.

Lo voglio dire semplicemente e con grande chiarezza: io penso che oggi l’Italia ha bisogno di tali personalità. Ha bisogno di uomini con il suo candore, con il suo spirito di servizio, con il suo essere controcorrente, con la sua integrità morale, con la sua audacia e, soprattutto, con la sua fede. Una fede che a volte lo faceva apparire ingenuo e fuori dal tempo agli occhi di molti suoi colleghi politici — perfino cattolici — ma che invece gli dava una forza inesauribile e un coraggio mai domo nel combattere le battaglie più diverse: dalla lotta per la pace, alla difesa della famiglia.

La Pira rappresenta, senza dubbio, quella fedeltà e quell’unità del magistero sociale della Chiesa Cattolica a cui tante volte mi sono richiamato. Un magistero unitario che non può essere strumentalizzato o dimenticato in alcune sue parti proprio oggi che viviamo in un mondo liquido, dove tutto sembra precario e incerto. Da un lato, le nuove tecnologie accompagnate dalla diffusione di un umanesimo ateo, come lo definiva il padre De Lubac, minano la statura ontologica dell’uomo e la salvaguardia del Creato. Dall’altro lato, una serie di nuove ideologie, spesso associate a visioni xenofobe e suprematiste, minacciano le basi di una convivenza civile e dialogante.

I laici cattolici, di fronte a questi richiami mondani che a volte possono essere addirittura suadenti, sono chiamati a testimoniare con coraggio martiriale la fede nel Risorto e ad assumere la sobrietà e la carità come stili di vita. La nostra società ha un grande bisogno di uomini e donne che non scendano a patti con la mondanità nichilista, con l’individualismo esasperato e con l’arroganza diffusa che, oggi, troppo spesso, si combina drammaticamente con la superficialità.

Giorgio La Pira, essendo un credente autentico e quindi un uomo libero che ha avuto il coraggio di sostenere opinioni scomode, non è mai sceso a patti con la mentalità di questo mondo. Per questo motivo, ancora oggi è un esempio di vita per tutti ed è un monito importantissimo per tutti coloro che rivestono incarichi di responsabilità.

Non bisogna mai dimenticare che l’unico vero grande obiettivo di La Pira è stato il bene comune. È stato il bene delle famiglie e dei giovani, dei disoccupati e delle aziende, degli anziani e degli ultimi. Questo bene comune si fonda sulla responsabilità e sulla carità verso i piccoli, gli indifesi e i poveri. E non si lascia tentare, in alcun modo, dall’arroganza del potere, dal consenso facile, dall’odio verso chi è diverso, dalla corruzione e dalla malavita.

C’è, infatti, una modalità di fare politica — che non fu certo del solo La Pira, ma che lui visse in maniera del tutto essenziale — che deve essere riconsegnata alle giovani generazioni: la politica come missione altissima e come capacità «di proporzionare le risorse ai bisogni», secondo il programma che espresse nel suo primo discorso da Sindaco di Firenze. La politica è la capacità degli uomini, della loro intelligenza e della loro volontà, di trovare le risorse per risolvere i problemi degli ultimi.

E per cercare di risolvere i bisogni più urgenti degli ultimi, egli non si nascondeva dietro a belle parole ma era estremamente concreto. La concretezza era una delle caratteristiche più importanti della visione lapiriana, che ancora oggi ci fa riflettere. Questa concretezza, infatti, si espresse su tutti i campi del sociale: dalle medicine al latte, distribuito quotidianamente nelle scuole per integrare la dieta dei bambini di Firenze; dalle case requisite, alla costruzione dell’Isolotto; dalla lotta contro i licenziamenti di massa, alla nazionalizzazione del Pignone e della Galileo. 

Oggi siamo chiamati ad ispirarci a questa concretezza in ogni ambito della nostra esistenza: nelle scuole e nelle città; nelle famiglie e nelle aziende; nella cura dei disoccupati e dei precari, come dei migranti. Occorre dare forma e sostanza alle parole. Non ci si può fermare solamente all’annuncio. Sono convinto, infatti, che gli uomini e le donne di buona volontà se mettono realmente l’interesse generale al primo posto possono veramente realizzare il bene comune per l’intero Paese.

Il Bene Comune è dunque il nostro unico obiettivo. È l’unica direzione verso la quale si muove l’impegno sociale dei cattolici. Un bene per tutti e non per pochi. Un bene che non cerca il potere, ma che desidera il servizio. Un bene che non vuole dividere, ma che si sforza ardentemente di condividere.