Riportiamo per gentile concessione dell’autore l’articolo pubblicato nell’ultimo numero del settimanale della diocesi di Brescia. Rossini, docente di sociologia, è stato Presidente delle Acli. Il titolo non coincide con l’originale (cfr. testo di cui al link a fondo pagina). 

 

Roberto Rossini

 

Del governo Draghi si può dire di tutto tranne che sia un governo di rabbia, di risentimento. Rabbia e risentimento hanno per anni dominato, in politica, ma ora gli italiani – almeno in maggioranza – paiono premiare chi di rabbia non ne ha. Anche la recente vittoria di Macron in Francia, opposto ad un avversario che fa leva sulla rabbia, sembra consegnarci lo stesso messaggio di razionalità e di competenza politica. Allora è finita la stagione del rancore? No, e presto ce ne accorgeremo. Quando in autunno prenderemo definitivamente atto dell’aumento delle spese per i beni essenziali e i non essenziali (oramai necessari), allora è ragionevole pensare che il sentimento negativo di molti di noi sarà magicamente trasformato in risentimento da qualche prestigiatore del consenso facile, dove ogni soluzione è semplice: il trucco c’è ma non si vede.

 

La cruda realtà dietro le quinte è che la guerra in Ucraina – e le sue conseguenze interne – ci stanno obbligando a fare i conti con le domande essenziali della politica: quali valori dobbiamo perseguire? Quali valori sono compatibili tra di loro e in che misura? Qual è il vero compito della politica? Chi dobbiamo anzitutto tutelare? È più facile attraverso una società aperta o chiusa? È meglio allearsi o rimanere da soli? Lo Stato deve tornare ad occuparsi di economia? Quali sono le priorità? Cosa distingue la destra dalla sinistra? Molte posizioni si stanno ridefinendo.

 

Quanto aveva ragione papa Francesco a ricordarci che non possiamo vivere da sani (o fingerci sani) in un mondo malato! Le cose costano: la democrazia, l’ambiente, la pace, il welfare, il benessere, il diritto, la benzina, il grano, il cobalto. Dobbiamo fare i conti con la realtà delle cose, dirci le verità che conosciamo e poi scegliere con le regole della politica. Perché quando si manifestano le tragedie, quando ti accorgi che la povertà o la morte rischiano di rappresentare un inevitabile destino, allora capisci che qualche responsabilità politica c’è. Serve tornare a parlare di politica nel senso pieno del termine, sia quello con P maiuscola (i valori) sia quello con P minuscola (la bolletta del gas): ma senza dividerle, perché l’errore sta proprio lì. Tutto, invece, si tiene. Anche il popolo e la necessaria costruzione delle élite che governano le istituzioni da proteggere. Dobbiamo avere rispetto per ogni persona e fare le scelte che possano incamminarci verso la pace, la giustizia e la libertà. Ma facendolo con razionalità e passione, con logos e pathos, mettendo la rabbia tra parentesi. Basterà?

 

Il rapporto con le generazioni, infine, parte dalla constatazione di un’incapacità della democrazia di rappresentare i minori, non tanto e non solo sul piano dei loro diritti, quanto su quello di una rappresentanza/rappresentazione del futuro del genere umano. Se il bene comune non si riduce esclusivamente all’interesse diffuso dell’odierno, del tempo reale, ma lo collochiamo su un piano di continuità con il passato e il futuro, allora chi rappresenta il futuro? La proposta “un figlio, un voto” è solo una provocazione o può diventare un’ipotesi più alta di democrazia? Ha senso concedere il diritto di voto ai minori? Religioni, generi e generazioni: chiavi di volta di un ripensamento della democrazia che abbia l’ambizione di guardare un poco più in là di quanto la lente del sondaggio possa offrire. Si tratta anzitutto – è bene ribadirlo – di una riflessione che va condotta a partire dal piano dell’elaborazione culturale. Innanzitutto il pensiero, il riprendere a pensare, a disegnare scenari possibili, ad immaginare probabili percorsi, dove queste singole sfide si intrecciano. In questa riflessione, non lo dimentichiamo certo, si apre tutta l’attualità da gestire, da amministrare: sindaci e assessori, ministri e presidenti devono decidere, scegliere. Qui ed ora. Ma ci pare un vero e proprio impoverimento che questioni tanto ardue siano affrontate seguendo la logica del consenso rapido, e non quello della meditata (e profetica) interpretazione. Non ci manca tanto la visione di ciò che sta accadendo, o l’analisi delle cause: quello che ancora fatichiamo a scorgere è il dove stiamo andando. Insomma, la sfida postglobale.

 

Per saperne di più 

https://www.lavocedelpopolo.it/opinioni/ira-funesta-finita