LISTE, IL PASSATO NON TRAMONTA…

Non possiamo non prendere atto – scrive Merlo – che il profondo decadimento della qualità della nostra democrazia risiede anche e soprattutto nella decadenza e nello scadimento della nostra rappresentanza istituzionale. In definitiva, dobbiamo rifarci al passato per ridare qualità alla nostra democrazia, credibilità alle nostre istituzioni e freschezza alla nostra classe dirigente. Tutto il resto appartiene al mondo delle chiacchiere, dell’ipocrisia e della spietata partitocrazia.

 

 

Giorgio Merlo

 

La recente formazione delle liste – o meglio la compilazione centralistica delle liste – ci fa indubbiamente rimpiangere il passato. E questo non per una sorta di inguaribile nostalgia o per una volontà di contemplare sempre e solo la bontà e l’efficacia del passato. No, perchè se vogliamo essere oggettivi non possiamo non prendere atto che il profondo decadimento della qualità della nostra democrazia risiede anche e soprattutto nella decadenza e nello scadimento della nostra rappresentanza istituzionale.

 

È appena sufficiente fare due esempi storici per rendersi conto che proprio dal passato possiamo recuperare quegli elementi utili per riqualificare la nostra democrazia e ridare credibilità alle nostre istituzioni. Pur sapendo, e lo ripeto ancora una volta, che il malcostume della designazione centralistica delle liste è riconducibile principalmente ed esclusivamente alle scelte fatte dai singoli capi partito e non ai cavilli o ai vincoli presenti nell’attuale elegge elettorale.

 

Detto questo, e per tornare agli esempi di altre stagioni storiche del nostro paese, non posso dimenticare l’importanza del sistema delle 4 preferenze accompagnato dalla legge proporzionale in vigore dal secondo dopoguerra sino alle elezioni politiche del 1992 che hanno segnato una delle fasi più ricche e più feconde della politica italiana. Per non parlare della selezione della classe dirigente dove c’era la concreta possibilità per i cittadini di scegliersi i propri rappresentanti da un lato e, dall’altro, la volontà di valorizzare intere aree culturali, sociali e professionali all’interno dei singoli partiti. Una fase che è stata interrotta, purtroppo – e sempre in nome della modernità e del “nuovo” – dall’introduzione della preferenza unica che ha alimentato la spaccatura all’interno dei partiti, aumentato il costo delle campagne elettorali e consegnato la rappresentanza democratica a chi aveva più denaro e alle lobby e, soprattutto, rafforzando la corruzione nelle dinamiche concrete della politica italiana.

 

Ma, dopo la stagione delle 4 preferenze, non possiamo dimenticare l’intuizione del “mattarellum” che ha permesso ai cittadini italiani la possibilità di riavere il “parlamentare del proprio territorio”. Certo, anche il “mattarellum” non ha centrato del tutto i suoi obiettivi politici ed istituzionali. Basti pensare che, nato per rafforzare e consolidare il maggioritario, ha finito per “proporzionalizzare il maggioritario”, aumentando la frammentazione del quadro politico senza garantire quella stabilità di governo che era la ragione principale del suo ingresso nella vita politica italiana. Ma, al di là di questa eterogenesi dei fini, non possiamo non evidenziare l’efficacia di quella legge elettorale sotto il versante della scelta dei parlamentari riconsegnando ai cittadini la scelta finale.

 

Ora, dopo la designazione spietatamente centralistica delle candidature e la compilazione fatta dai capi partito violando e bypassando tutte quelle regole e quei principi che quotidianamente vengono ipocritamente sbandierati ai “creduloni” della base, non ci resta che rifarci al passato per ridare qualità alla nostra democrazia, credibilità alle nostre istituzioni e freschezza alla nostra classe dirigente. Tutto il resto appartiene al mondo delle chiacchiere, dell’ipocrisia e della spietata partitocrazia. E, per dirla con Guido Bodrato, purtroppo, ad una “partitocrazia senza partiti”.