In Italia, i problemi comuni a tutti i paesi moderni usciti dal conflitto del 1914-1918, si presentarono in forma molto più acuta. I motivi, con le dovute proporzioni temporali, potrebbero sembrare ancora attuali: il più evidente era tuttavia quello relativo alla fragilità delle strutture economiche e politiche. Ma c’era anche dell’altro. 

Se si parte dal presupposto che i movimenti politici italiani, al confronto di quelli francesi, inglesi e tedeschi (per fare alcuni esempi) erano molto meno profondamente radicati e il processo di democratizzazione era stato più lento che altrove, molte risposte potrebbero sembrare in apparenza semplici. Ma non è così. In una condizione di debolezza di sistema come quella appena descritta, infatti, ogni decisione presa dal governo – per quanto equa o impopolare – era potenzialmente soggetta a contestazioni e malumori destinati a provocare gravissime fratture ideologiche e sociali. Così, sin dalla scelta a favore dell’intervento a quella di dare luogo a un maggiore riconoscimento dei diritti civili, la classe dirigente dell’epoca si trovò sempre e costantemente isolata (ricordiamo che il suffragio universale era stato introdotto nel 1913). Alcuni anni dopo, di fronte al gigantesco deficit provocato da una guerra condotta su vasta scala, la nazione – così come il resto d’Europa – manifestava i tratti tipici di una crisi post-bellica senza precedenti; i cambiamenti, a cominciare dallo sviluppo abnorme dei settori industriali militari e dai problemi di riconversione, si facevano necessari quanto epocali. Analizziamone le ragioni.

Le spese sostenute per il conflitto si erano rivelate pari al doppio del prodotto interno lordo riferito agli anni precedenti al 1915, e per sopperire al dissesto economico non servirono né un aumento delle tasse tanto meno la richiesta di nuovi prestiti (i quali avrebbero comunque aumentato il debito pubblico). Furono indette allora delle sottoscrizioni nazionali e venne stampata carta moneta in eccedenza, ma ciò altro non fece che dare luogo a un processo inflazionistico senza riscontri nella storia recente del paese. I prezzi dei beni di prima necessità e delle merci salirono di quasi tre volte, favorendo unicamente le grandi industrie e abbattendo il potere d’acquisto di larghe fasce della popolazione, tra cui i dipendenti pubblici. Furono proprio i malumori e le pressioni di milioni di cittadini impoveriti che allontanarono, al momento, ogni speranza ai fini del raggiungimento della pace sociale. Nello specifico, fermo restando il grave deficit statale e un’inflazione ora mai galoppante, la compressione dovuta agli anni di guerra comportò tutta una serie di agitazioni, a partire da quelle di cui furono protagonisti i movimenti popolari. Questi, per prima la classe operaia, rivendicavano maggiori poteri sui luoghi di lavoro manifestando a tratti (complice il mito della Rivoluzione Russa) istanze rivoluzionarie. I contadini del Mezzogiorno, coinvolti in massa dall’esperienza bellica e forti di una accresciuta consapevolezza dei propri diritti, reclamavano più attenzione dalle istituzioni (come gli era stato promesso). I ceti medi, infine, per gran parte di ritorno dal fronte, stanchi dei vecchi equilibri e danneggiati dalla crisi, tendevano a organizzarsi e a mobilitarsi per difendere i loro interessi. A tutti questi elementi, lo Stato non seppe o non riuscì a dare risposte.

L’esecutivo dell’epoca, nella persona del premier, l’ex radicale Francesco Saverio Nitti (XXV Legislatura del Regno), indebolito ante litteram per le cause sopra citate, non fu nel modo più assoluto in grado di fronteggiare politicamente la crisi, aggravata dalle agitazioni del paese reale che stavano assumendo proporzioni di massa.  Proprio le tensioni e le proteste risultarono decisive per il crollo della storica classe dirigente liberale legata ai valori patriottici post-risorgimentali. Le vecchie nomenclature furono ben presto rimpiazzate da quelle forze (cresciute enormemente per popolarità) che erano del tutto estranee alle responsabilità della guerra e non compromesse rispetto alla tragedia che si era appena consumata: i socialisti e i cattolici. La transizione democratica, come sappiamo, durò molto poco.