La guerra del Kippur tra arabi e israeliani determinò lo shock petrolifero del 1973 con pesanti conseguenze sulle economie mondiali. Viene ricordata come il periodo delle domeniche a piedi degli italiani.  Fu molto di più. 

I prezzi dei prodotti petroliferi aumentarono di cinque volte con uno sconvolgimento che si era unito alla cancellazione nell’agosto del 1971 degli accordi di Bretton Wood contagiando l’economia mondiale. Giá  nel dicembre del 1972 Siro Lombardini nel grande convegno economico della Dc, partito di maggioranza relativa, a Perugia, aveva posto l’esigenza di una politica di programmazione che avesse al centro la politica industriale, ponendo attenzione su nuove linee di sviluppo. 

La crisi energetica maturata dai nuovi rapporti tra produttori e consumatori determinava:  il rincaro dei prezzi di tutte le materie prime; la crisi dell’assetto monetario internazionale con i nuovi rapporti di scambio e grave deterioramento per il nostro Paese; una nuova divisione internazionale del lavoro. Lo sviluppo impetuoso degli anni cinquanta e sessanta veniva messo in discussione da variabili esogene, fuori dal nostro controllo. Il saggio di sviluppo dei paesi Ocse sarebbe passato negli anni sessanta dal 5 per cento al 3,3 degli anni settanta, mentre per l’Italia sarebbe  passato dal 5,7 al 3,1 per cento; una inflazione da costi si abbatteva sul sistema industriale italiano che veniva colpito al cuore, anche da una crisi della domanda. La chimica che aveva puntato sul credito agevolato ne fu travolta. Così come l’industria siderurgica a più alta intensità di energia subì colpi pesantissimi. Mentre era forte il dibattito tra congiunturalisti e strutturalisti che cercavano di piegare il dibattito alla strategia delle alleanze, così come quello tra restrizionisti, preoccupati dalla realtà dei vincoli esterni ed interni ed espansionisti, tra chi voleva incidere sull bilancia dei pagamenti riducendo importazioni e tra chi voleva bilanciare la tassa sul petrolio con maggiore spesa pubblica. Il culmine si raggiunse in occasione della lettera d’intenti al Fondo Monetario Internazione nel 1974. Prevalse la linea di rigore della Banca di Italia. Furono approntate misure per il riequilibrio della bilancia dei pagamenti attraverso tagli sulla domanda, deposito obbligatorio sulle importazioni e politica fiscale restrittiva, nonché  controllo del credito totale interno. Il fabbisogno del tesoro che veniva superato rispetto all’ammontare programmato costringeva la Banca d’Italia a finanziarlo con la creazione di ampia base monetaria. 

Il quadro di governo in quegli anni è rappresentato dalla azione del quarto e del quinto governo Rumor. Nel 1975 intervenne anche l’accordo Lama -Agnelli su punto unico di  contingenza che permetteva ai lavoratori di recuperare la dinamica inflazionistica a due cifre. Moro espresse preoccupazioni perché “ più delicati problemi e rischi più attuali per la stabilità della economia pone invece l’andamento della dinamica salariale. Il governo non può, davanti a questi grandi round contrattuali, rimanere estraneo, poiché il loro risultato tocca piuttosto il livello generale dei prezzi e dei cambi che la distribuzione del prodotto fra profitti e salari”. 

Ai governi Rumor  segui il governo della piccola coalizione Moro – La Malfa, il bicolore DC- PRI  che gettò le basi della ristrutturazione industriale che si concretizzò con la legge 675 del 1977. Dopo la recessione profonda, nel quinquennio 1975-1980 si è registrato uno sviluppo degli investimenti con dimensioni consistenti in parte destinati all’ampliamento della capacità produttiva e una larga parte destinata alla razionalizzazione dei processi produttivi. Si misero in campo misure per fronteggiare la crisi delle grandi imprese anche per la forza del sindacato, mentre  il saggio di mortalità delle aziende piccole e piccolissime fu elevato. Nello stesso periodo gli interventi della Cassa Integrazione guadagni aumentarono di sei volte.  

Si privilegiarono misure di stabilizzazione senza quelle incisive  politiche strutturali che andassero verso la riduzione della bolletta petrolifera, nella ristrutturazione dell’apparato produttivo che l’aumento del prezzo del petrolio aveva bombardato nelle strutture alterando il prezzo dei fattori, e il rafforzamento della produttività, per aziende costrette alla competizione nonostante l’aumento dei costi. 

La crisi sanitaria del 2020 che stiamo vivendo, diventerà crisi economica e sociale. Alcuni settori come quello turistico, alberghiero,  ristorazione e quello dei trasporti di massa saranno pesantemente colpiti nelle attività economiche. Rispetto agli anni settanta non vi sará la distinzione tra garantiti e non garantiti perché i riflessi negativi saranno per tutti indistintamente.   Quello che sapientemente fece in quegli anni la Banca d’Italia, dovrebbe essere nella responsabilità della Banca Centrale Europea superando incertezze ed egoismi. Si imporrà un nuovo modello di sviluppo. Da questa crisi potrà ritrovarsi una nuova idea di Europa comunitaria, non sarà facile, ma é l’unica strada percorribile. Nessun Paese può resistere da solo  ad una paralisi così prolungata. Sarebbe profondamente sbagliato pensare di affrontare la crisi economica solo con misure assistenzialistiche senza gettare le basi per una ripartenza che segnerà una svolta per la interdipendenza tra le aree economiche del mondo. 

“Conteranno soprattutto –  per usare le parole di Moro propio all’atto di nascita del suo governo – “ lo scatto di volontà, il vigore e la fantasia con cui noi tutti sapremo affrontare la sfida di adattare l’economia ai nuovi equilibri internazionali, di inventare nuove e più vere relazioni tra dirigenti e lavoratori, di mobilitare all’estremo la capacità di lavoro delle pubbliche amministrazioni”.