Il Green Deal Europeo è un obbiettivo ambizioso e non c’è dubbio che per arrivare a emissioni zero entro il 2050 bisogna apportare una radicale revisione di quasi tutti gli aspetti dell’economia moderna. Bisognerà invogliare le persone a cambiare il modo in cui mangiano, lavorano, vivono e viaggiano.

Secondo Vincenzo Balzani, professore emerito all’Università di Bologna e autore di numerosi libri sulla transizione verso un mondo più pulito. L’ambizione dell’UE di decarbonizzare l’Europa, non è altro che “una proposta di rifacimento della civiltà”.

Il prossimo mondo, come dichiarato da Macron, si avvicina molto, come modello di cambiamento, al New Deal degli anni ’30 del presidente americano Franklin D. Roosevelt.

Infatti il New Deal mutò radicalmente i rapporti fra economia e politica, fra i cittadini e lo Stato. Grazie all’energia e alla fiducia che Roosevelt inculcò negli americani con le sue “chiacchiere al caminetto” e i suoi discorsi, i cittadini statunitensi iniziarono a rinunciare al sentimento di rassegnazione che aveva accompagnato i primi anni della depressione.

Si gettarono le basi del “welfare state”, un sistema in cui lo Stato assicurava alla popolazione dei diritti fondamentali come l’assistenza e la vita dignitosa in caso di disoccupazione o vecchiaia. Mutò anche il ruolo dello Stato nell’economia: il potere pubblico non era più un semplice spettatore ma, viceversa, aveva acquisito un ruolo di regolazione del sistema economico al fine di scongiurare la nascita di forti tensioni sociali.

La creazione di agenzie, enti e uffici, oltre a creare numerosi posti di lavoro, ampliò notevolmente i compiti e la sfera di influenza della pubblica amministrazione e della burocrazia, un fenomeno sino ad allora sconosciuto agli americani che erano abituati a vedere un’amministrazione federale snella e con poche attribuzioni.

E anche se sarà un modello ambizioso da eguagliare non c’è dubbio che vada raggiunto.

L’area terrestre classificata a rischio “alto o molto alto” di diventare deserto nell’Europa meridionale e nei Balcani è cresciuta fino a raggiungere le dimensioni di Germania e Ungheria messe insieme. Quelli che fuggono dalla siccità e dalla fame nei paesi più poveri cercheranno la relativa sicurezza nell’Europa, aumentando la prospettiva di una crisi dei rifugiati perpetua, destabilizzante e disumanizzante.

Insomma l’ultima chiamata per un’Europa che deve ora più che mai trovare il coraggio di riscrivere il suo futuro.