Lode a Francesco Forte nel ricordo di Eufemi.

 

il suo atteggiamento era sempre costruttivo, mai impositivo. Faceva prevalere il valore profondo delle idee alla forza dei numeri.

 

Maurizio Eufemi

 

Ci ha lasciati in questo fine d’anno Francesco Forte, docente universitario, ordinario di Scienza delle Finanze a Torino nella cattedra che fu di Luigi Einaudi, economista insigne, parlamentare, Ministro. Quando giungono notizie così tristi pensi ai momenti di incontro, alle occasione che nella vita ti hanno portato a contatto con personaggi così straordinari e poi ti portano a seguirlo nel tempo attraverso i suoi scritti, le interviste che propagano un pensiero mai banale così come è avvenuto fino ai giorni scorsi sul “Sussidiario” con prese di posizione sui temi di attualità economica e politica, dove forse più liberamente riusciva ad esprimersi senza remore con una visione globale.

 

Mi aveva colpito la sua attenzione alla economia sociale di mercato e la sua disponibilità a collaborare con filosofi ed economisti (tra questi voglio ricordare i lavori con Flavio Felice) di più giovane generazione come a rinvigorire la ricerca economica attraverso un confronto intergenerazionale mai chiuso in se stesso. C’era l’impronta degli anni di insegnamento trascorsi alla Cattolica nella cattedra di Ezio Vanoni e alla collana editoriale di Vita e Pensiero. Poi certo l’influenza di James Buchanan con le teorie delle scelte pubbliche, ma anche attenzione a Roepke. Anche nelle riunioni politiche di maggioranza nelle quali partecipava in rappresentanza del Psi il suo atteggiamento era sempre costruttivo, mai impositivo. Faceva prevalere il valore profondo delle idee alla forza dei numeri.

 

Voglio però ricordarlo con un pregevole lavoro che fece nel 1981 per una riflessione sul convegno economico di Perugia del 1972. Fu mia la cura del volume inserito nella collana Studi e Documenti del Gruppo Dc per le edizioni Cinque Lune: lo definì, per parte sua, di spessore molto grande. Era titolato “Verso una economia intermedia avanzata”. In quel contesto, pose attenzione sulla deresponsabilizzazione della spesa degli enti locali, la lotta alla evasione fiscale, il superamento della cassa integrazione e la configurazione delle Agenzie del Lavoro, il rapporto tra imprese pubbliche e private, il drenaggio di risorse finanziarie da parte delle imprese pubbliche, la troppa attenzione culturale alla macroeconomia e alle macrostrutture anziché alle microeconomia e alle microstrutture, la consapevolezza che il riformismo illuminato è una strada facile da perseguire in teoria e difficile da praticare nella realtà. Rifiutava, in sostanza, la teoria secondo la quale il nostro meccanismo di sviluppo si sarebbe inceppato sostenendo  invece la validità costruttiva e dinamica del modello di società intermedia di cui l’Italia fin dagli  anni settanta aveva assunto i tratti. Voleva dire non solo presenza di piccole e medie imprese, ma un dosaggio con le grandi senza trascurare le tecnologie intermedie. Cioè avere il compito di diventare una economia intermedia avanzata riformando “Stato sociale” e “Stato fiscale”.