Dall’osservatorio dell’Istituto Pasteur Italia come vede la situazione di questa pandemia?

Ho in aggiornamento continuo i dati dalla rete dei 32 Istituti Pasteur, sparsi in tutti i continenti e coordinati dal Pasteur di Parigi, che vanta i 2 premi Nobel per la scoperta del virus dell’AIDS. Il Pasteur di Shangai ha delucidato la genomica sia del SARS virus che di SARS-CoV2, Parigi ha subito delucidato la struttura del virus isolato in Francia e sta lavorando sul vaccino. Oggi l’obiettivo unico è quello di stroncare la diffusione del coronavirus. Vi sono di sicuro decine di migliaia di asintomatici portatori del virus “a loro insaputa” e paucisintomatici che pensano a una comune influenza. Se solo si allenta di poco il contenimento dei rapporti interpersonali e sociali si avrà uno strascinamento dell’epidemia con fermi produttivi ancora più devastanti.

Prospettive terapeutiche attuali?

Riguardano solo ricoverati in ambito ospedaliero, dove danno un qualche risultato i farmaci che riducono l’infiammazione polmonare (sia gli inibitori della interleuchina-6 che del GM-CSF, che inibitori generici come la idroclorochina). Vaccini non ci saranno – se ci saranno – prima di 12-18 mesi ed anche più; anticorpi monoclonali contro l’antirecettore virale (la proteina spike) possono arrivare un poco prima, comunque non utili nell’attuale fase pandemica. Anzi gli annunci di vaccini o di sperimentazioni di vaccini sui topi servono forse ad attrarre finanziamenti, ma fanno danno grave contribuendo ad allentare le regole. Come lo fanno anche gli annunci di cure miracolose. 

Come si è mosso il Governo? 

Il Governo è stato tempestivo proclamando lo stato di emergenza il 31 gennaio. Troppi lo hanno preso sottogamba, anche perché qualche esperto virologo non più di 5 giorni prima aveva in TV affermato che non c’è epidemia, è solo influenza, e così via. 

Come è arrivato il virus?

Il salto di specie pipistrello-uomo a Wuhan è almeno di ottobre. In uno-due mesi i portatori di contagio in contagio sono diventati centinaia, con coronavirus non riconosciuto finché si sono ricoverati il 26 dicembre in ospedale 4 persone con polmonite. Da questi casi è scattato il meccanismo: diagnosi virologica, isolamento del virus, genomica, dichiarazione di epidemia da parte dell’OMS il 10 gennaio. Nel frattempo in Europa il virus SARS-CoV2 era stato portato da europei tornati per le vacanze di Natale-Capodanno, anche qui con diffusione “a loro insaputa”. I primi casi riconosciuti in Francia e Germania risalgono al 24 gennaio (il 27 gennaio l’Istituto Pasteur di Parigi ha pubblicato sul proprio Bollettino la sequenza del virus). In Lombardia il primo caso è stato diagnosticato solo il 20 febbraio: su questo ritardo di quasi un mese ha di certo influito l’organizzazione sanitaria, certo non imputabile agli attuali Presidente ed Assessore. Però…

Però cosa?

Nella sanità italiana prevale da 20 anni un indirizzo manageriale-finanziario: “contenere i costi a tutti i costi”. Per fare diagnosi di SARS-CoV2 occorre avere disponibile il kit per l’analisi genomica specifica, tramite PCR: quanti Direttori Generali forniscono questi kit come dotazione ordinaria dei laboratori di patologia clinica? E la carenza delle terapie intensive. E poi i manager della Sanità leggono The Lancet o il New England Journal of Medicine o Nature Medicine? Non credo proprio.

Perché lei fa questa osservazione?

Nel 2015 e 2016 due studi hanno ritenuto probabile una nuova epidemia da virus SARS dei pipistrelli (Menachery V.D. et al., Nature Medicine 2015;21:1508-13; US PNAS  2016;113:3048-53).  E uno studio del 2018 su New England Journal of Medicine (Morens D.M., Taubenberger J.K, NEJM 2018;379:2285-87) nel commentare cento anni dopo l’epidemia influenzale del 1918 (la cosiddetta spagnola, che fece oltre 40 milioni di morti) ha stimato che oggi una simile epidemia avrebbe richiesto solo negli Stati Uniti l’assistenza in terapia intensiva con supporto ventilatorio per 2 milioni di persone. In proporzione in Italia sarebbe per 300.000, che – calcolando un periodo influenzale di 3-4 mesi e una permanenza in terapia intensiva di 12-20 giorni – porterebbe alla necessità di 30.000 posti in terapia intensiva, 5000 in Lombardia, 3000 nel Lazio e così via. Ma la politica e i grandi manager della sanità non leggono né Nature Medicine, né il New England. 

Molte leggi obbligano le Regioni a programmare. Che cosa si è fatto?

Nelle Regioni in piano di rientro la mannaia del Ministero dell’Economia ha di fatto imposto scelte obbligate: tagli e poi tagli, qualche riconversione, sviluppo di tecnologie ridotte al minimo. In altre Regioni le scelte sono state tutte politiche. Penso alla Lombardia della lunga presidenza Formigoni: parità pubblico-privato, mano libera allo sviluppo di reti di case di cura rivolte alle prestazioni sanitarie redditizie, certamente non a predisporre reparti “just in case”, magari non di primo utilizzo per anni e poi indispensabili all’improvviso. La spinta al privato ha anche sminuito il ruolo della medicina territoriale, quella che era costituita dai medici condotti, ora dai medici di medicina generale. Quel ritardo in Lombardia di quasi un mese rispetto a Francia e Germania pesa sulla politica delle passate scelte: il risultato è che vi sono stati molti più casi e molte più persone decedute. Il paragone con il Veneto è decisivo.

Ma la sanità lombarda è anche di qualità.

Certamente lo è nella straordinaria rete degli IRCCS, non a caso vigilati centralmente dal Ministero della Salute, che li finanzia in relazione alla qualità della loro ricerca scientifica. Leggere e produrre pubblicazioni porta di sicuro qualità e capacità di diagnosi e cure anche sofisticate. Questo accade negli IRCCS di tutta Italia, come in Molise nell’IRCCS Neuromed, di cui sono direttore scientifico.  Ma il malato in prima battuta va in un ospedale locale, dove la diagnosi ultraspecialistica non viene in mente. Da apprezzare invece gli appelli al rigore del Presidente Fontana. Dovrà però ripensare la sanità della sua Regione.

E le altre Regioni?

Veneto ed Emilia si sono mosse bene. Hanno il vantaggio di eccellenti università, tra le prime al mondo in ambito biomedico (Padova ha anche un rettore medico di assoluto valore internazionale). Ragionando per criteri scientifici la politica fa meno errori e cede meno alle pulsioni della piazza. Bene la Regione Lazio, che ha la fortuna di avere l’IRCCS Spallanzani, dove sono centralizzati i casi più difficili e che fa da guida al resto della Regione. Un dato: allo Spallanzani non vi è stato nessun sanitario contagiato: ottima organizzazione, direzione sanitaria e direzione infermieristica efficienti. Purtroppo non è così ovunque: troppi medici e infermieri sono stati colpiti dall’epidemia, con organizzazioni mossesi in ritardo e con insufficiente professionalità di chi dopo il Decreto di stato di emergenza (31 gennaio) doveva provvedere (direzioni sanitarie e direzioni infermieristiche). Non è possibile che certe inefficienze passino dopo sotto silenzio. Nella sua rudezza lo ha detto con grande chiarezza il Presidente della Campania De Luca.

Mascherine, terapie intensive, molti operatori sanitari hanno lamentato ritardi gravi, medici e infermieri si sono infettati

Il nostro è un Paese strano: il Consiglio dei Ministri il 31 gennaio dichiara lo “stato di emergenza” per epidemia da coronarovirus e c’è chi aspetta istruzioni per agire, come se avere avuto un incarico manageriale (mi riferisco ai direttori generali di ASL e ospedali) o uno di direzione amministrativa o sanitaria o delle professioni sanitarie implichi ulteriori istruzioni per agire. Senza ulteriori direttive o circolari applicative non si fa nulla, solo lo stipendio lauto decorre comunque…. Il caos delle mascherine deriva da richieste esplose a metà marzo, anziché da verifiche di magazzino fatte ai primi di febbraio e relativi ordini: la programmazione è l’opposto d’improvvisazione.

Come andrà a finire?

Chi fa previsioni viene rapidamente smentito. Intanto i dati: quelli incontrovertibili sono solo le ospedalizzazioni e i decessi: questi per milione di abitanti nel Veneto sono meno di ¼ rispetto alla Lombardia. In ogni caso se si mantiene un atteggiamento di estremo rigore su tutti e tutto (cittadini, fabbriche, etc.) è probabile che a fine aprile i nuovi casi non siano più di 100-200 al giorno, quindi ben controllabili. Serve e servirà rigore estremo nel contenere i contatti inter-personali e servirà attenzione anche dopo. Né si può sperare nella fortuna e cioè che l’epidemia da SARS-Cov2, come accadde per la SARS del 2009, a maggio lentamente si spenga con il mutare di stagione. Certe dichiarazioni e certe circolari non aiutano.

Ce l’ha con la politica?

Non ce l’ho con la politica, ma per farsi notare un leader di partito, in ascesa, stazionario o declino che sia,  dovrebbe predicare il rigore, non il suo allentamento, se davvero gli preme la ripresa delle attività produttive. Per riavviare prima le attività industriali bisogna fare come hanno programmato Veneto e Lazio: test sul sangue a tutta la popolazione (ci sono già striscette in commercio)  e riammettere al lavoro subito chi risulta avere anticorpi contro il virus. La spesa è di gran lunga inferiore al danno per blocco delle attività cosiddette non essenziali, che sono invece essenziali in un paese che voglia tornare alla normalità.

E l’Europa?

Può sembrare paradossale dover ringraziare questa epidemia per aver messo a nudo ciò che non si voleva vedere. L’UE ha in Svezia un Centro di controllo delle malattie infettive: non ha potere d’intervento sui singoli Stati, nemmeno in condizioni eccezionali come questa. Se capita un evento straordinario scatta il potere di veto di un Paese contro un altro. È come se quando è avvenuto un terremoto in Friuli o in Campania o in Abruzzo le relative risorse dovessero essere a carico (cioè a debito…) di quelle Regioni, senza nessun obbligo d’intervento solidale. Forse Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Jean Monnet, Robert Schuman, Joseph Bech e Paul-Henri Spaak erano dei sognatori, ma partendo dalla comunità su carbone e acciaio ruppero il fronte per le guerre e costruirono il campo grande della cooperazione tra Stati, della solidarietà. Questa pandemia ha messo in evidenza che così l’Europa diverrà sempre più marginale nella guerra tra USA e CINA, in attesa che s’inserisca l’India, guerra che è principalmente, ma non solo, commerciale, perché è ideologica, di stile di vita. Come Istituto Pasteur abbiamo scritto un libretto sul coronavirus (cosa è, ci sono oppure no cure, cosa bisogna fare) insieme con una classe di III media: i ragazzi hanno chiuso la loro parte con una frase, che è ideologica, ma soprattutto drammaticamente pragmatica: non fare agli altri quello che non vorresti che fosse fatto a voi. È un messaggio per i signori della finanza, che forse stanno osservando quale azienda andarsi a comprare, visto il crollo delle Borsa.