Ezio Mauro, già direttore de la Repubblica, possiede una qualità letteraria notevole che si articola attraverso una prosa sofisticata e affascinante senza nulla perdere quanto a chiarezza giornalistica e sostanza concettuale. Egli può ben essere preso a riferimento – in virtù appunto del suo elevato livello compositivo – di quella ormai infinita e pressoché univoca schiera di opinionisti, semplici commentatori o più fini intellettuali, che considerano il Pd (e probabilmente hanno sempre considerato) una semplice emanazione della secolare storia della Sinistra italiana. Quella avviata a Livorno giusto cento anni orsono. Un percorso durato oltre una dozzina di lustri sotto la gloriosa insegna del PCI e poi proseguito con due sigle minori, PdS e DS, sino ad approdare a quella attuale, appunto il Pd.

In uno dei suoi ultimi editoriali (la Repubblica, 8 marzo, “Il Pd e il suo labirinto”), alle prese con l’ennesima crisi di vertice di un partito sorto solo poco più di tredici anni fa, l’illustre giornalista per un breve momento ha un sussulto e si domanda se il Pd sia “l’esito finale di una lunga storia” o piuttosto “l’inizio di una nuova avventura”. Ma dopo aver convenuto che quel partito sorge con l’idea d’essere “punto di riferimento di storie diverse, dai cattolici democratici ai laici repubblicani” subito si premura di precisare che costoro “scelgono di accompagnare il cammino della Sinistra, ibridandola e arricchendola”. Una funzione ancillare, dunque. Di supporto, magari di qualità, ma pur sempre di mero sostegno ad una forza principale. Fra l’altro, e la cosa fa quasi sorridere se non fosse tremendamente seria, ponendo “vocazione europea” e “collocazione occidentale” quali coordinate essenziali del partito: ovvero la più nitida testimonianza di quanto storicamente avvenuto, e cioè il cambiamento strutturale di posizione politica e geopolitica effettuato proprio dalla Sinistra già comunista in seguito alla sconfitta del modello sovietico e in virtù delle buone ragioni di chi in Italia a quel modello si era opposto, optando con decisione per quello incarnato dalle democrazie occidentali. Ciò nondimeno Mauro non immagina “una neutralizzazione del carattere di sinistra del Pd a favore dell’indistinto democratico, bensì una declinazione libera e moderna di quell’identità”.

Questa riduzione di fatto del Pd da partito del Centrosinistra unito a partito della Sinistra tout court, erede di una tradizione che, almeno sotto il profilo della politica estera, è stata opposta a quella risultata storicamente vincente è un’operazione intellettuale che stravolge l’idea fondativa del Pd e che dunque è inaccettabile. Ed invece è ormai divenuta opinione comune, neppure più contestata da alcuno. Basta ascoltare un qualsiasi talk show televisivo, non c’è nemmeno bisogno di avventurarsi in letture più impegnative, in interviste pensose o quant’altro. E’ sufficiente ascoltare una qualsiasi domanda sul “futuro della Sinistra” fatta da un qualsiasi giornalista. Che tutto ciò sia accaduto, durante questi anni di vita del Partito democratico, nel silenzio quasi assoluto dei cattolici democratici (accusati anzi, nella loro veste di “ex democristiani”, d’essersi impadroniti di quasi tutte le leve di potere del partito) è francamente sconfortante.

Ecco, chiunque sarà il prossimo segretario del Pd, e a maggior ragione dovesse essere Enrico Letta, dovrebbe puntualizzare: il Pd è il tentativo di costituire una grande forza politica popolare di Centrosinistra. Con solide radici politiche e culturali, al plurale. Come lo interpreta Mauro, e tanti come lui, non è il Pd al quale si era pensato all’atto della sua fondazione. Urge, quindi, una precisazione. La più autorevole possibile, dunque ad opera del Segretario nazionale.