Maria Pia Garavaglia: “Si è Partigiani ogni giorno”.

Senatrice. Eletta nel novembre 2019 a Presidente dell'ANPC, Associazione Nazionale Partigiani Cristiani. Fa inoltre parte del Direttivo della Federazione Italiana Volontari della Libertà, fondata da Enrico Mattei e presieduta per lunghi anni dal Sen. Paolo Emilio Taviani. Ha ricoperto il prestigioso incarico di Presidente della Croce Rossa Italiana. Vanta numerose onorificenze al merito.

Senatrice Garavaglia, recentemente è stata eletta all’alto incarico di Presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani cristiani, oltre a far parte del Direttivo della Federazione italiana volontari della libertà: dopo una lunga e prestigiosa carriera politica quale significato intende attribuire a questa militanza ai massimi livelli rappresentativi dei movimenti partigiani di ispirazione cristiana?

La mia passione civile e poi la militanza politica sono legate ad un incontro importante. Nella mia zona il politico di riferimento era Giovanni Marcora, ‘Albertino’ come nome di battaglia in quanto vicecomandante del Raggruppamento Alfredo di Dio. Perciò per me è stato un grande onore, al punto di non sentirmi adeguata, assumere una presidenza che fu di Mattei e di Marcora, fondatori dell’Associazione Partigiani Cristiani.

Sono trascorsi 75 anni dal 25 aprile 1945: che cosa resta nella memoria storica del nostro Paese di quell’epoca di lotta di liberazione, quali valori tramandati, quali testimonianze? E quali motivazioni ideali possono ispirare l’azione dell’impegno politico e civile nella società di oggi e nei progetti di modernizzazione del Paese?

Il tempo che ci è dato di vivere suscita sentimenti contraddittori. La pandemia sembra unire gli Italiani in una grande condivisione; i loro rappresentanti in Parlamento e al Governo sembrano dimentichi del dolore che incatena il Paese e disquisiscono sul nulla. È invece il tempo di vivere e promuovere con la testimonianza anche personale quei valori che hanno reso l’Italia una Repubblica democratica e terzo Paese industrializzato in Europa. Sembra che ci si dimentichi che senza 75 anni di pace, anche la Liberazione che festeggiamo il 25 aprile sarebbe costata inutilmente sangue e sofferenze del popolo Italiano.

Leggendo il discorso che il Presidente Alcide De Gasperi pronunciò il 28 ottobre 1950 al Congresso dei Comandanti Partigiani della FIVL, “autori del secondo Risorgimento e del riscatto politico e morale della nazione”, si ritrovano non solo i richiami etici all’impegno a difesa della Patria dall’invasione straniera ma anche alcuni tratti connotativi dell’organizzazione istituzionale del Paese, a cominciare dalla centralità del Parlamento, l’idea di Nazione e il suo collocarsi nel consesso internazionale del dopoguerra. A distanza di anni come sono mutati i concetti di Patria, Stato, Nazione, Europa? Possiamo dire che un’Europa unita e solidale sarebbe oggi la nuova frontiera per la difesa delle libertà conquistate, di fronte ai pericoli di nuove egemonie e mire espansionistiche di tipo geopolitico e geoeconomico?

Sono convinta che l’Europa unita è una forza di pace. È fondata su sistemi democratici che valorizzano i diritti inviolabili della persona. In quel discorso De Gasperi ricorda che le conquiste ottenute dai partigiani vanno conservate con la solidarietà nazionale, perché si deve “contribuire, alimentando nella vita quotidiana la fede nel patriottismo sincero, vigilando sui pericoli, scuotendo gli incerti, incoraggiando i pavidi, sollevando la speranza e la fede nell’avvenire d’Italia”. Quale altra sfida più affascinante per le nuove generazioni? Il padre della nostra Patria concludeva quel discorso: “Ricordatevi che le situazioni non si risolvono con le parole. L’Italia è un Paese moralmente altissimo: la nostra forza sta nella nostra civiltà, nella nostra energia morale. I rapporti di forza materiale non ci sono spesso favorevoli (…) arriva il momento in cui si impone il dovere morale di difendere il carattere di una Nazione, la dignità di un popolo. Ed allora diamo contenuto a questa parola di patriottismo, di Nazione. Non è più il momento di decidere delle questioni in piccola cerchia. È il popolo italiano l’attore principale, non dimentichiamolo!” Mi pare siano parole che non escludono, ma chiamano a raccolta tutte le energie del Paese.

Il passaggio dalla riconquistata indipendenza e sovranità del Paese all’idea germinale di una Europa come istituzione solidale nei principi fondativi non fu immediato. Ci furono anni di assestamento e di ricostruzione. Tuttavia possiamo dire che i Padri della Patria liberata dal nazi-fascismo furono anche i Padri morali dell’Europa come nuovo traguardo da perseguire nel lungo cammino di libertà ed emancipazione dei popoli?

Ne sono profondamente convinta. I Padri Fondatori, uomini di fede, cittadini di frontiera, che avevamo sperimentato una guerra tremenda proprio a causa di quelle frontiere, hanno

creduto che i popoli meritassero di sognare sviluppo e progresso senza più guerre. Hanno incominciato a mettere in sicurezza le risorse energetiche, che garantissero lavoro, con la Comunità del carbone e dell’acciaio ( CECA). In seguito con altri trattati si è proseguito in un processo di integrazione che sovranisti e populisti vorrebbero interrompere. C’è bisogno invece di coltivare quel sogno e promuovere soprattutto tra i giovani il desiderio degli Stati Uniti d’Europa. Quale sarebbe la condizione dell’Italia oggi, senza Europa?

Ricordare e festeggiare il 25 aprile non significa solo celebrare una ricorrenza accompagnata dal mesto sventolio di bandiere. La memoria deve restare intatta e viva, come monito a non ripetere errori del passato e come riconoscimento commosso del sacrificio di tante vite donate per il bene comune. Non crede che “ricordare” significhi, oltre questo, trarre alimento da nobili valori consacrati dalla Storia e postulati oggi in un mondo dove si corre il rischio di ricadute dittatoriali e plebiscitarie?

Penso che il 25 aprile sia una Festa. Festa per tutti gli Italiani, anche per chi non vorrebbe festeggiare ed anzi cancellare la data. Anche loro, i loro figli, hanno goduto 75 anni di pace di una Repubblica democratica che ‘rimuove gli ostacoli’ alla uguaglianza di tutti i cittadini, che garantisce la tutela della salute come diritto fondamentale, valorizza la scuola, si fonda sul lavoro. Ricordare deve significare studiare per conoscere. Chi non conosce non può nemmeno apprezzare e poi difendere principi, valori. Più che mai serve unione e condivisione di un destino che elimini la conflittualità, che sfocia nel rancore e nell’odio sociale. Nessuno potrebbe governare in armonia una comunità attraversata da odio e malcontento generalizzato e sollecitato. La democrazia conquistata nel 1945 va protetta e riconquistata giorno per giorno, con la buona politica, frutto di dialogo e di confronto; la politica per ascoltare i bisogni del popolo e indirizzare alle soluzioni con una visione di pace e di fiducia nel futuro.

Il 25 aprile fu vittoria di popolo, vittoria di tutti. Fu schierarsi da una parte o dall’altra. Eppure a distanza di anni taluni non mancano di alimentare teorie negazioniste, rispetto alle aberrazioni della guerra, dell’olocausto, all’importanza della mobilitazione popolare per riconquistare la libertà perduta. Gli eserciti compirono la loro parte: ma possiamo negare ancora oggi il valore, il significato, il peso determinante per l’esito finale vittorioso della lotta partigiana, di città in città, di paese in paese, di casa in casa?

Purtroppo si nega la storia. Basterebbe studiarla. È un dolore per chi, come me, crede profondamente nel confronto anche aspro di idee ma non può, dopo 75

anni, essere d’accordo con chi non riconosce che la Resistenza sia stata una rinascita dell’intero popolo. Chi non ha combattuto da partigiano ha fatto comunque la sua parte nel costruire l’uscita da un periodo davvero tragico che era stato segnato dalla alleanza col nazismo, dalle leggi razziali, e dalla sconfitta di una guerra sconsiderata.

Si leggano gli episodi di partecipazione della gente, dei sacerdoti, delle donne…Forse l’aver insistito da parte di chi ha voluto colorare la Resistenza come comunista ha condizionato sentimenti di rifiuto. La Resistenza è stata anche cattolica e non con minore partecipazione. Perciò si valorizzi con maggior entusiasmo anche la Resistenza bianca. Basti ricordare la Preghiera del Ribelle del beato Teresio Olivelli.

Ogni periodo storico, ogni evento – a maggior ragione quello di cui ricordiamo oggi il 75° anniversario – si sbiadisce negli anni quando vengono a mancare le testimonianze dirette o tramandate, quando principi e valori etici vengono sostituiti da altri meno nobili, specialmente in una società che il Censis descrive come “avvitata in una deriva autoreferenziale di egoismo e indifferenza”. Non Le sembra allora che occorra ripercorrere quel percorso dei nostri Padri ricordandolo e rinnovandone lo spirito alle giovani generazioni, cioè ripartire dalla scuola, dall’educazione, dal senso civico, dal rispetto della vita degli altri?

La scuola riveste un ruolo fondamentale e insostituibile. Purtroppo i sopravvissuti a causa dell’anagrafe non possono più presentarsi da testimoni. Tocca alla istituzione che per definizione deve tramandare cultura, tradizioni e cittadinanza, far conoscere la radice della nostra democrazia e la storia della Repubblica. Purtroppo i programmi scolastici di storia sono stati menomati ed anzi trascurati nella parte contemporanea. Tocca alla famiglia e ai politici pretendere che si conosca quanto abbiamo ereditato per essere quel popolo che, anche a livello internazionale, gode di tale reputazione che lo colloca nel G7, il gruppo delle potenze mondiali. Un po’ di orgoglio e tanta responsabilità per difendere l’onore. 

ANPI, ANPC, FIVL in quanto associazioni partigiane che conservano e tramandano la memoria e i valori di quella nobile lotta di liberazione saranno ancora e a lungo i baluardi contro l’oblio, organismi che ricordano il passato ma guardano al futuro, verso nuovi traguardi di libertà dell’uomo e dei popoli, contro guerre, odio, discriminazioni che purtroppo si profilano sempre all’orizzonte della storia dell’umanità, nonostante gli esempi del passato?

 

Ne sono convinta. Senza la passione civile e politica dei volontari delle Associazioni non avremmo mantenuto vivo né il ricordo né la responsabilità di onorare una storia. È nota la critica di chi ritiene che ormai non ci sono più Partigiani. Si è Partigiani ogni giorno e come patrioti della nostra Italia di oggi e della nostra patria più grande di domani, l’Europa, dobbiamo darci da fare per un proselitismo attivo e positivo. Dobbiamo far valere ciò che ci unisce e ci rende popolo. Leggo per il suo valore simbolico sul “certificato al patriota” che fu assegnato ai partigiani dal Comandante in capo delle Forze Armate Alleate in Italia, Generale Alexander: “ […] Col loro coraggio e la loro dedizione i patrioti italiani hanno contribuito validamente alla Liberazione dell’Italia e alla grande causa di tutti gli uomini liberi. Nell’Italia rinata i possessori di questo attestato saranno acclamati come patrioti che hanno combattuto per l’onore e la libertà”.

Le chiedo se questo patriottismo è ancora oggi un valore da difendere, oltre la retorica, per conservare la memoria della nostra stessa identità, se “onore” e “libertà” sono parole che hanno ancora oggi un senso.

Di più: deve essere continuamente proposto. Un motivo che mi rattrista quando la destra democratica vuol cancellare la Festa è perché rinnega una sua parola d’ordine: l’identità. La lotta di liberazione ha ricostruito l’identità di un popolo. Amano la parola Patria e anch’io la amo. Ricordo sempre il mio Presidente Ciampi che si era imposto una missione, rilanciare l’Inno di Mameli (il patriota risorgimentale lo compose a 20 anni), il Tricolore e il nome Patria, i tre elementi che costruiscono il profilo della nostra identità nazionale. Sono orgogliosa di essere stata relatrice dell’ultima legge della XII legislatura, per inserire l’obbligo scolastico di imparare l’Inno degli Italiani e istituire la giornata dell’Unita d’Italia ( 17 marzo). L’ho considerato un mio personale omaggio a Ciampi.