Marino de Medici spiega le elezioni USA 2020: vince la democrazia rappresentativa.

Romano, giornalista professionista da moltissimi anni, De Medici è stato Corrispondente da Washington dell’Agenzia ANSA e corrispondente dagli Stati Uniti per il quotidiano Il Tempo. Ha intervistato Presidenti, Segretari di Stato e della Difesa americani, Presidenti di vari Paesi in America Latina e Asia. Ha coperto la guerra nel Vietnam, colpi di stato nel Cile e in Argentina, e quaranta anni di avvenimenti negli Stati Uniti e nel mondo. Ha anche insegnato giornalismo e comunicazioni in Italia e negli Stati Uniti. Non ha ancora finito di viaggiare e di scrivere dei luoghi che visita. Finora è stato in 121 Paesi e conta di vederne altri.

Di seguito le sue opinioni sulle elezioni americane 2020, che ritengo di estremo interesse poiché effettuate da un attento osservatore e conoscitore della politica statunitense di lungo corso.

Il grande ritorno della democrazia rappresentativa

Marino De Medici

Alla fine, ha prevalso la democrazia rappresentativa. Joseph Biden è stato dichiarato presidente eletto degli Stati Uniti al termine di un interminabile stressante conteggio svoltosi tra contestazioni, ricorsi legali ed ignobili proclami di vittoria emessi dal perdente, il presidente Donald Trump, che passerà alla storia per la sua politica velleitaria ma soprattutto come “one term president” sfuggito per poco allo ”impeachment”. Di fatto, Trump è il primo presidente non rieletto dopo la sconfitta di George W.H. Bush nel 1992. La vittoria di Joe Biden rappresenta una svolta epocale in America anche per l’elezione alla vice presidenza della prima donna, Kamala Harris, che impersona la diversità dell’America che cambia. Il 77enne Joe Biden era al suo terzo tentativo per la Casa Bianca. Il suo successo ha dello straordinario perché nella battaglia delle elezioni primarie aveva rischiato l’eliminazione. Se è lecito fare dell’ironia, l’America ha detto a Trump “you are fired” (sei licenziato) sulla falsariga del verdetto che Trump emetteva ai concorrenti nel suo programma televisivo “The apprentice” (l’apprendista). Ora tocca a Donald Trump apprendere come comportarsi all’indomani della sua sconfitta, dapprima nei 75 giorni di governo che gli rimangono e poi negli anni susseguenti. Sarà un periodo di fuoco perché il presidente uscente continuerà ad inveire contro il “complotto” che ha consegnato la presidenza a Biden. Mentre è possibile che Trump venga accompagnato alla porta, non scompare un macigno che condiziona il progresso della democrazia rappresentativa, una base trumpista di notevole pervicace consistenza che intralcerà l’opera della nuova amministrazione.

Un’altra riflessione ironica si impone all’immediato indomani della vittoria di Biden. “Chi di spada ferisce, di spada perisce”. Nel 2016, Trump aveva strappato la presidenza alla modesta Hillary Clinton raccogliendo 107.000 voti in più in tre stati del Nord (Pennsylvania, Michigan e Wisconsin), un’inezia rispetto ai 120 milioni di voti espressi in quella tornata elettorale. Questa volta Biden ha prevalso su Trump per 34.000 voti in Pennsylvania, lo stato che lo ha proiettato oltre la soglia dei 270 voti del Collegio Elettorale necessari per l’elezione. Gli scarti nel Michigan e nel Wisconsin sono risultati analogamente minimi, ma sufficienti all’affermazione di Biden nel cosiddetto “Blue wall” (il Muro blu), che aveva determinato l’elezione a sorpresa di Trump quattro anni fa. In questo raffronto emerge un dato decisivo: gli elettori democratici che nel 2016 avevano subito l’attrazione della campagna di Trump contro lo “swamp”, ossia la palude di Washigton, quest’anno sono tornati nella loro casa democratica.

La vittoria di Joe Biden ha altre rilevanti matrici. Innanzi tutto, segna un record nel numero di votanti a suo favore, 75 milioni, uno scarto di 4.200.000 sul presidente repubblicano. Ed ancora, Biden ha conquistato la Georgia che non aveva votato a favore di un candidato democratico dal lontano 1992.

In aggiunta, l’Arizona aveva votato per il candidato repubblicano dal 1952, con una sola eccezione. Il fatto centrale comunque è questo: Biden è prevalso su una formidabile cultura politica trumpista che poggiava su fatti alternativi, su una virulenta propaganda conservativa ed estremista dei social media e sul penoso servilismo degli organi del partito repubblicano. L’imperiosa politica di Donald Trump aveva stravolto i principi fondamentali della democrazia rappresentativa, a cominciare dal rispetto della costituzione e del dialogo politico improntato ad un confronto civile di idee ed ove

possibile al compromesso. I padri fondatori volevano rompere con l’autoritarismo della monarchia inglese e intendevano promuovere una dialettica, anche intensa fino ad essere conflittuale, ma ispirata ai dettami della democrazia rappresentativa. Donald Trump aveva dichiarato guerra a tutti coloro che sostenevano idee e tendenze politiche contrastanti, con un linguaggio politico portato all’offesa e spesso all’insulto gratuito. L’ostilità dichiarata agli elementi critici, visti come nemici anziché come avversari, resterà purtroppo l’asse portante del trumpismo che continuerà ad imperare su una vasto settore della popolazione americana, in particolare quello sudista e rurale. Se e come la democrazia rappresentativa potrà far breccia sull’intransigente blocco trumpista non è dato prevedere, ma il successo di Biden in stati del Sud come la Georgia e l’Arizona alimenta una qualche speranza.

La vittoria di Biden autorizza quanto meno la prosecuzione di un processo politico che assimila i portatori di diversità e li responsabilizza come partecipanti all’evoluzione della giustizia sociale. Biden ha additato il dovere degli americani con una frase illuminata: “L’unità sopra le divisioni. La Speranza sui timori. La Scienza sulla finzione”. Joe Biden eredita il potere in una nazione prostrata dall’epidemia del covid-19 e dal regresso economico. Ma i suoi istinti, soprattutto quelli attinenti alla creazione di unità, appaiono fondati e tali da incoraggiare fiducia in una grave congiuntura politica e morale. In questo quadro si collocano gli impulsi della parte sana della popolazione americana volti a superare le divisioni razziali, classiste e quelle insite nella diseguaglianza dei redditi. Joe Biden è tutt’altro che un apprendista promosso alla guida della nazione. Ha una lunga esperienza di moderato, portato al dialogo e al compromesso. Ora dovrà vedersela con un senato che molto probabilmente resterà nelle mani dei repubblicani (anche se restano da attribuire due seggi nella Georgia).  Cercherà di venire a patti con il cerbero repubblicano del senato, il leader McConnell, un tecnico dell’ostruzionismo. Contrariamente a quanto molti avvertono, Biden e McConnell si conoscono bene e si stimano reciprocamente. Particolare interessante, McConnell fu l’unico senatore repubblicano presente alle esequie del figlio di Biden, Beau. L’opposizione di McConnell potrebbe essere ben diversa e certamente non implacabile come lo era quella di Trump. Un primo elemento di giudizio verrà con l’approvazione di un legge di soccorso finanziario agli americani in generale ed alla struttura economica colpita dalla pandemia.

La volontà di Biden di promuovere unità nella nazione ha un altro destinatario, la sinistra americana. Le divergenze di indirizzi sociali ed economici non mancheranno di farsi sentire e potranno complicare la ricerca di compromessi legislativi. Anche su questo versante, dunque, il compito del presidente eletto è quanto mai impegnativo. Il fatto stesso che Biden finirà probabilmente con l’accumulare 306 voti elettorali, quanti ne riportò Trump nel 2106, testimonia la spaccatura che continua a tormentare la nazione americana. Tra le tante analisi del voto e dell’elettorato, una dovrebbe sovrastare: Biden ha vinto non solo perché questa volta si è riprodotta la coalizione democratica che elesse Obama – che abbracciò afro-americani, squadernò l’arma della superbia e attrasse, infine, un numero sufficiente di lavoratori “blue-collar” – ma perché una maggioranza di americani lo ha percepito come un uomo dotato di equilibrio, moralmente e politicamente qualificato a fare fronte alla doppia sconvolgente crisi della pandemia e dell’economia. In fondo, questa resta la maggiore differenza con Trump, artefice di un caos morale e politico. Coerenza alla ricerca di unità e fiducia nel futuro sono il viatico alla presidenza Biden.