Due interventi, in apparenza eterogenei, offrono la possibilità di capire la difficoltà che incontra la politica a definire il profilo di una Roma più efficiente e moderna. Entrambi gli interventi appaiono sul Foglio e recano la firma dell’ex Sindaco Ignazio Marino e del Presidente dei costruttori romani (Acer) Niccolò Rebecchini. Il primo è una retrospettiva che vuole evidenziare il valore delle scelte compiute nel periodo 2013-2015 per la pulizia della città e il trattamento dei rifiuti, anzitutto con la chiusura della discarica di Malagrotta. Il secondo, invece, è un atto di accusa bell’e buono contro la maggioranza che sostiene il governo Conte, colpevole di aver esteso i vincoli per le ristrutturazioni degli immobili dai centri storici alle “zone assimilabili”, in pratica rendendo molto più complicata ogni operazione di ristrutturazione urbana.

Marino non fa nulla per nascondere il suo rancore, ancora oggi sentendosi vittima di un ingiustificato attacco politico-mediatico a cui il Pd avrebbe concorso in maniera diretta e indiretta, dando fiato e copertura agli interessi di gruppi sociali minoritari e tuttavia pervicaci nella loro azione di autotutela corporativa, per i quali conta assai poco la difesa del bene comune di Roma. I dati che fornisce l’ex sindaco portano alla rivendicazione del significato innovativo e coraggioso delle scelte compiute nell’arco di un biennio effettivamente prodigo di novità, gestite come che sia (più per stupire la pubblica opinione che non per amministrare oculatamente. 

Certo, con la chiusura della più grande discarica d’Europa o del mondo non poteva che derivare l’approntamento di un piano  ambizioso per la raccolta differenziata. Si è fatto anche di più, dice sempre Marino, perché il Comune sotto la sua direzione avrebbe accresciuto la dotazione tecnologica dell’Ama, riducendo il ruolo del concessionario privato. Ora, però, senza nulla togliere al peso di queste determinazioni, resta pur sempre vero che Roma ha chiuso Malagrotta e attende ancora l’apertura di un nuovo sito, essendo comunque necessario anche a fronte di una estensione del servizio di raccolta differenziata. Marino, in sostanza, continua a professarsi vittima di una congiura, non ammettendo il carattere avventuroso di una politica, la sua, che assegna a Roma il primato di grande città esportatrice di rifiuti, con costi elevati per la collettività.

Le rimostranze del Presidente dell’Acer si collocano sotto un’altra luce. È difficile negare che in tempo di semplificazioni, complice il Covid-19, si configuri come disdicevole sgrammaticatura la contrazione delle potenzialità di ripresa dell’edilizia privata, in specie sul versante della rigenerazione urbana. Rebecchini fa la voce grossa e formula l’auspicio che gli elettori possano ricordarsi, di qui alla prossima primavera, di come far valere un punto di vista alternativo. Mai fino ad ora la critica dei costruttori aveva raggiunto un tono così pesante e  grave, arrivando persino a prospettare la penalizzazione degli artefici di questo vincolismo normativo a carico degli operatori economici e in ultima istanza degli stessi cittadini. Siamo, con tutta evidenza, oltre la normale dialettica tra parti sociali e forze di governo.

Marino chiama in causa il passato del centrosinistra, Rebecchini il suo futuro. Dentro questa doppia polemica si svolge il piccolo dramma del Pd. In particolare, a Roma, non è attorno a questo partito che può riarticolarsi una strategia di cambiamento dopo la deludente stagione di Virginia Raggi. Ci vuole un salto di fantasia e di credibilità: non è tempo di pensarci, senza perdersi nel gioco fatuo del toto-Sindaco?