Articolo già pubblicato dall’Agenzia AGI

“La Bce farà tutto il necessario per preservare l’euro. E, credetemi, sarà sufficiente”. Il 26 luglio 2012 Mario Draghi è a Londra per una conferenza. La divisa unica europea è sotto l’attacco della speculazione internazionale, l’uscita dei Paesi ‘periferici’ è considerata a un passo.

L’utilizzo dell’Esm è bloccato in attesa del via libera della Corte costituzionale tedesca. Pesano le obiezioni della Bundesbank e di alcuni esponenti politici conservatori. La condanna pare già scritta. Una manna per chi scommette sulla fine dell’euro. Quando Draghi sale sul palco, nessuno si aspetta che quel discorso cambierà la storia della crisi.

Dopo sei minuti di introduzione, però, il presidente della Bce scandisce le due frasi. Il discorso passa agli annali. La locuzione entra nel lessico comune, utilizzata persino per una dichiarazione d’amore: “Sei bella come il ‘whatever it takes’ di Draghi”.

Sulla sua poltrona a Francoforte arriverà Christine Lagarde, direttrice del Fondo monetario internazionale. E qualcuno ha ipotizzato che Draghi potrebbe prenderne il posto a Washington. Chi lo conosce bene dice che di sicuro non tornerà in Italia per un incarico politico. Più facile una scelta legata al suo vecchio amore, l’insegnamento. In molti continuano a chiamarlo ‘professore’.

A strapparlo alla cattedra nel 1991 fu Guido Carli che lo nominò direttore generale del Tesoro su consiglio di Carlo Azeglio Ciampi, all’epoca governatore della Banca d’Italia. Da quella poltrona Draghi ha seguito tutta la stagione delle privatizzazioni e la stesura delle nuove regole sulla finanza, che sfoceranno nel testo unico del 1998, informalmente battezzato con il suo nome.

Nel 2002 lascia l’incarico e passa in Goldman Sachs. A richiamarlo in Italia nel dicembre 2005 è il governo Berlusconi, che lo nomina governatore della Banca d’Italia. L’istituto è scosso dagli scandali che hanno costretto alle dimissioni Antonio Fazio. Nei sei anni di incarico a palazzo Koch, Draghi ridà autorevolezza all’istituto centrale e ne modifica profondamente la governance.

Datato giugno 2011 è il suo sbarco alla Bce. Un battesimo non facile. Il 5 agosto, con una lettera firmata insieme al suo predecessore Jean Claude Trichet, invita il governo italiano a “rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali”.

Un passaggio che porterà alla crisi del governo Berlusconi e alla nascita dell’esecutivo tecnico guidato da Mario Monti. Il 2011 e il 2012 sono anni di crisi profonda per l’euro. A tenerlo in piedi è una serie di misure straordinarie: l’introduzione dell’Ltro per finanziare il settore bancario, il taglio dei tassi d’interesse, lo sblocco dell’Esm.

Ma la rivoluzione vera è il Quantitative easing, con cui l’Eurotower riacquista i titoli di Stato in pancia alle banche immettendo liquidità da destinare al finanziamento di famiglie e imprese. Un programma, rinnovato sino a fine 2018 nonostante le resistenze tedesche, che ha immesso nel sistema circa 2.600 miliardi di euro, pari a quasi il 20% del Pil dell’Unione europea. “Whaterver it takes”, appunto.​