Martinazzoli, una riflessione sul futuro dei cattolici.

Ricordare Mino Martinazzoli non significa solo rimpiangere una stagione di grandi figure e grandi esempi, con innegabili e positive rifrazioni nella sfera istituzionale. Significa anche prendere atto della insussistenza del cattolicesimo politico italiano in mancanza di una classe dirigente altrettanto adeguata e pertinente.

Ricordare Mino Martinazzoli a 10 anni dalla sua scomparsa significa rileggere, ancora una volta, il magistero politico, culturale e istituzionale non solo di un leader politico ma di uno statista e di un intellettuale. Un leader e uno statista che affondava le sue radici ideali nel cattolicesimo liberale, popolare e democratico del nostro paese. Nel caso di Mino partendo da quel cattolicesimo liberale – da Manzoni a Rosmini a Sturzo – che si prolungava sino alla miglior tradizione del cattolicesimo democratico italiano. Insomma, al filone moroteo.

Ma la domanda centrale che emerge, ogniqualvolta ci ritroviamo a ricordare questi amici leader e statisti, in tutta la sua ruvidezza è una sola: ovvero, com’è possibile che ormai da molto tempo la galassia che è riconducibile alla tradizione del cattolicesimo politico italiano nelle sue multiformi espressioni non riesca non solo a riprodurre una classe dirigente di quel livello ma che, soprattutto, non abbia neanche più le capacità di declinare quella cultura nella dialettica politica contemporanea? Certo, nel frattempo sono state distrutte tutte quelle categorie politiche che hanno contribuito da un lato a spazzare ogni riferimento culturale e, dallaltro, a produrre di conseguenza una classe dirigente del tutto occasionale, decadente, casuale e aliena da qualsiasi radicamento sociale ed espressività ideale.

Quello che Mino definiva, giustamente, come una classe dirigente legata esclusivamente al presentismo. E, come ovvio, lirruzione nelle sue varie declinazioni del populismo ha dato il colpo di grazia alla possibilità per la politica di rialzare il suo prestigio, il suo ruolo e la sua funzione. Quei valori e quella prassi che sono stati centrali nel lungo e articolato magistero politico e istituzionale di Mino Martinazzoli, sempre accompagnato dalla cultura della mediazione, dal limite stesso della politica, dai principi della democrazia liberale e da un inesauribile e persistente ancoraggio allumanesimo cristiano e popolare. Categorie, come dicevo pocanzi, liquidate prima dalla rottamazione renziana e poi dallideologia delluno vale uno di matrice grillina.

Ecco perchè ricordare e rileggere, oggi, Mino Martinazzoli non significa solo rimpiangere una classe dirigente e una statura politica ed ideale di uomini e donne semplicemente improponibili. Ma, soprattutto, prendere atto che anche una tradizione nobile ed antica come quella del cattolicesimo politico italiano non può ritrovare e reinverare le sue potenziali ed utili ragioni politiche e culturali senza la presenza di una classe dirigente altrettanto adeguata e pertinente. Nessuno pretende, com’è ovvio, di ritrovare nella politica italiana un erede o più eredi di Mino Martinazzoli o di altri grandi statisti e leader cattolici democratici o popolari o sociali ma, almeno, non limitare o ridurre questa corrente costitutiva e decisiva della stessa democrazia italiana ad una sorta di semplice commemorazione di quello che fu. Per rispetto al passato innanzitutto e per continuare ad investire nel futuro dallaltro. Non per il bene dei cattolici ma per la qualità della nostra democrazia.