Siamo in un momento di decisioni importanti, direi storiche, per il futuro dell’Unione europea e voglio innanzitutto rivolgervi un ringraziamento. Non è stato facile per nessuno affrontare l’emergenza, adottare misure che fino a poco tempo fa erano impensabili, abbandonare cliché del passato e  proiettarci in una nuova comune prospettiva di rilancio. Possiamo essere orgogliosi di ciò che l’Unione europea ha realizzato e delle iniziative intraprese dagli Stati membri. Questa esperienza va coltivata, incoraggiata, per consentire ai nostri paesi e alla stessa Unione di essere capaci di rispondere meglio alle sfide globali. Dobbiamo essere fieri delle nostre Istituzioni, perché hanno reagito con tempestività. Anche la reazione del Parlamento europeo è stata responsabile e il proseguimento delle sue attività, con modalità inedite, ha consentito il funzionamento dell’Unione europea.

Mesi difficili, ma adesso si apre una fase nuova.

Le discussioni e le decisioni che saremo chiamati a prendere saranno determinanti per riconfigurare l’Unione dei prossimi decenni.

Ciò che tutti desideriamo ottenere è chiaro. L’ idea della crescita infinita si è esaurita per sempre. È arrivato il tempo di scegliere come e dove crescere nell’interesse dei cittadini e del pianeta. La pandemia ci consegna nuove responsabilità e doveri: la responsabilità di scegliere e il dovere di farlo nell’interesse di tutti e non di pochi. Se questo è  il quadro le scelte su dove investire sono chiare: economia verde,  salute,  formazione, diritti digitali, diritti democratici e diritti sociali. Inclusione invece che esclusione. E devo dire che questa era la nostra visione quando il Parlamento europeo ha accordato la sua fiducia alla Commissione presieduta  da Ursula von der Leyen. Le nostre priorità erano già quelle giuste, e la crisi adesso non ha fatto altro che confermarci in questa convinzione.

Dinanzi alla crisi attuale, abbiamo tutto da perdere o tutto da guadagnare. Come ha giustamente detto a più riprese la Cancelliera Merkel, la posta in gioco è la sopravvivenza dell’Unione e del suo mercato interno. Sono fiducioso che tutti insieme, con responsabilità, sapremo rispondere a questa immensa sfida.

Ma in che modo la raccoglieremo? Disponiamo di una soluzione la cui architettura riscuote consenso. Ringrazio la Presidente della Commissione per averla elaborata.

Il piano di ripresa deve essere all’altezza delle nostre ambizioni. Deve contribuire a trasformare l’economia e lottare contro le disparità che si stanno aggravando. Della crisi dobbiamo aver paura perché gli effetti sociali e la perdita di posti di lavoro non risparmiano nessuno.

Il pacchetto di misure annunciato dalla Commissione europea il 27 maggio è un passo decisivo nella lunga storia dell’integrazione europea. La Commissione ha  proposto, per la prima volta, di prendere in prestito fino a 750 miliardi di euro sui mercati finanziari nel quadro di un nuovo strumento di ripresa. È questo il dispositivo essenziale di cui dotare l’Europa in questa fase.  Il Parlamento sostiene questa impostazione, il suo importo e la ripartizione indicata  tra sovvenzioni e prestiti.

Il “Next Generation EU”, tuttavia, non dovrà pesare sulle generazioni future. Non potremo lasciare in eredità  disavanzo  e indebitamento nazionale accresciuti, o politiche europee ridimensionate. Per questo  le nuove risorse proprie serviranno innanzitutto a ripagare i prestiti e poi a dotare l’Unione di entrate stabili e autosufficienti. Ci aspettiamo l’introduzione di un pacchetto di risorse proprie con un impegno alla loro entrata in vigore il prima possibile e comunque entro il 2023. Così pure riteniamo che sia giunto il momento di eliminare tutti gli sconti nella contribuzione degli Stati membri, che sono iniqui e difficili da giustificare. Per il Parlamento queste sono priorità. Così come un meccanismo di governance che fissi in modo adeguato il principio del controllo democratico sull’allocazione delle risorse e l’approvazione dei piani nazionali di ripresa. A soldi presi in prestito insieme deve corrispondere una gestione rispettosa del metodo comunitario.

Sarebbe inimmaginabile che un’Europa che ha deciso una risposta comune alla crisi escluda il Parlamento.

L’autorità di bilancio deve avere voce in capitolo nella corretta attribuzione delle risorse rispetto alle priorità politiche. Inoltre, per garantire un’appropriata canalizzazione di queste ingenti risorse finanziarie nei programmi del QFP, il Parlamento in qualità  di co-legislatore deve esercitare le proprie prerogative.

Sarebbe un grave errore compiere un passo indietro rispetto a tutte le riforme della governance economica attuate in Europa dopo l’ultima crisi finanziaria.

Dobbiamo dirci le cose con chiarezza. Il Parlamento è deluso dalla proposta di QFP presentata a questo tavolo. Abbiamo da tempo richiesto che esso garantisca un adeguato livello di finanziamento delle politiche di convergenza e al tempo stesso metta in campo i fondi necessari per quelle priorità che tutti salutano come decisive: green deal, digitalizzazione e resilienza.  Una sana  programmazione di medio periodo, ovvero i prossimi 7 anni, deve essere credibile e compatibile. Se fissiamo tetti di spesa troppo modesti chi ci prenderà sul serio? Vedete, cari amici del Consiglio europeo, non è possibile dissociare il piano della ripresa dal QFP. Non è realistico. Serve un bilanciamento ponderato fra uno strumento che è straordinario e temporaneo e un altro che è permanente e ordinario. Occorre sincronizzare meglio i due strumenti nella durata e nell’efficacia.

Perché vi sia ripresa non è possibile agire senza garanzie di finanziamento costanti e a lungo termine. Questa è una condizione fondamentale per il Parlamento.

Abbiamo capito dalla crisi che possiamo uscirne solo con la  solidarietà. E quella che stiamo mettendo in campo è la forma più visibile di un’Europa unita. Solidarietà esige responsabilità e coerenza. Siamo cresciuti insieme attorno a valori comuni. Non riduciamo l’Unione europea ad un distributore automatico di soldi. Il Parlamento dà una grande importanza alla buona gestione delle risorse comuni e al tempo stesso al rispetto dei principi dello stato di diritto. Non è una opzione: solidarietà e benefici del mercato comune vanno di pari passo con il rispetto dei nostri valori. I cittadini esigono che le istituzioni siano garanti di questa coerenza. Si  tratta di una condizionalità in grado di preservare la natura e l’autorevolezza delle nostre Istituzioni.

Come avete capito bene il Parlamento darà il suo consenso al QFP solo al soddisfacimento delle priorità che oggi ho richiamato. Lo dico con tutto il rispetto dovuto al vostro ruolo, ma anche con la fermezza che deriva dal mandato che ho ricevuto dal Parlamento a grandissima maggioranza con la risoluzione votata nel maggio scorso.

Signore e signori del Consiglio europeo, negli anni passati ci hanno  detto che quello che andava bene ai ricchi sarebbe andato bene anche ai poveri. Lo sappiamo tutti che non è andata così. Da troppi decenni chi nasce povero, resta povero. Da troppi decenni la mobilità sociale,  così importante per la mia generazione, non funziona più. È per questo che il Parlamento chiede un progetto più ambizioso. Noi rappresentiamo tutti i cittadini europei e la grande maggioranza è composta da quelli che non  ce la fanno. Se noi non saremo all’altezza e non risponderemo con coraggio e senso della giustizia a questa moltitudine, che ha il diritto ad un futuro sereno, per sé e per i propri figli,  non avremo soltanto un grande problema di costruzione europea, ma di vera e propria tenuta delle istituzioni democratiche.

Siamo sotto i riflettori di tutto il mondo. Alcuni ci guardano con speranza, perché credono nella potenza dell’Europa, nei suoi valori e nella sua affidabilità in qualità di partner. Talvolta, aspirano a esserne parte. Altri ci guardano nell’attesa di vedere la nostra Unione europea disgregarsi, per prenderne il posto sulla scena internazionale. Questi ultimi non vogliono vedere un’Europa forte, democratica, sviluppata economicamente e socialmente, egualitaria e rispettosa dei diritti di tutti, al suo interno e al di fuori dei suoi confini. Per essi, l’Unione rappresenta un affronto al loro modello di società. Non diamo ragione a queste voci e dimostriamoci degni della fiducia che i nostri cittadini e i nostri partner internazionali nutrono in noi.