Mauro Carmagnola: Dc, presto le linee programmatiche

E’ del tutto evidente che il Segretario della Dc non possa, nelle attuali condizioni, proporre un’annessione tout court degli altri gruppi della diaspora

A pochi giorni dalla prima Direzione Nazionale della Dc, i temi sollevati e rilanciati dal caro amico Infante meritano qualche puntualizzazione sì da potersi trasformare persino in una road map dei prossimi lavori.

Innanzitutto, la questione della federazione dei democratici-cristiani non può non essere ricondotta ad un dato di fatto inconfutabile: in tutta Europa vi è solo una federazione tra partiti ed è quella tra Cdu e Csu, resa possibile dalla mancata presentazione della prima in Baviera e della seconda nel resto della Germania.

Altre federazioni non esistono, perché la loro gestione è semplicemente impraticabile.

Persino l’accordo all’interno del Pdl delle quote 70% – 30% tra Forza Italia ed Alleanza Nazionale finì come ben sappiamo.

Ritengo che Grassi usi il termine federazione nel senso di un’ampia convergenza tra i segmenti di una determinata area politica (come accadde al Psdi in cui confluirono svariate esperienze e diversi spezzoni del socialismo riformista) verso un unico contenitore: quest’ultimo mi sembra difficile possa essere attribuibile a qualcuna delle dc farlocche o alla stessa Udc, che prima o poi si porrà seriamente il problema di un brand del tutto assimilabile alle miserie (molte) ed alle glorie (poche o nessuna) della seconda repubblica, al pari di Forza Italia, An, Pd e Lega pre-Salvini.

Da qui il traccheggiare dello scudo velato attorno a numeri sempre più modesti, tali da impedirne la rappresentanza in ormai quasi tutte le più recenti competizioni elettorali.

E’ del tutto evidente che il Segretario della Dc non possa, nelle attuali condizioni, proporre un’annessione tout court degli altri gruppi della diaspora (o dell’insussistenza) democristiana: meglio prospettare un cammino in comune che non potrà che approdare al simbolo tradizionale dell’impegno politico dei cattolici.

Nel frattempo occorre come Democrazia Cristiana predisporre quegli strumenti organizzativi e politici che rendano la convergenza un passaggio fortemente condiviso ed orientato all’acquisizione di consensi rilevanti, possibili soltanto con una progettualità forte e visibile e non attraverso sommatorie stantìe.

La scelta dell’Udc di andare a destra appare dettata più dall’esasperato tatticismo di Cesa, il quale non poteva ritrovarsi dove vi era Casini, che da un processo irreversibile. Risulta, certo, poco edificante discutere della spaccatura tra i due, al punto che, non interessando la questione a nessuno, non se ne ricavano risultati apprezzabili neppure all’interno delle urne.

Tuttavia, occorre compiere ogni sforzo possibile per recuperare quanto di buono vi è nell’Udc.

Per esempio, la recente posizione dell’onorevole Binetti, in fin dei conti l’unica rappresentante nelle istituzioni della frantumazione cattolica, su Avvenire del 27 ottobre scorso, in merito alla non-sentenza della Corte Costituzionale sul fine vita, rappresenta una posizione condivisibile e ben motivata: evitiamo di gettare via apporti preziosi di esponenti rappresentativi del mondo che vogliamo ricomporre.

Questo vale per una presenza Udc sempre più rarefatta e non sempre credibile, tuttavia riconducibile ad una storia, per certi versi, comune, dove non si è solo praticata l’alleanza a destra.

All’appuntamento con le elezioni abruzzesi la Dc arriva in ritardo e, diciamocela tutta, forte di un paio di iscritti.

Solo un miracolo potrebbe permettere la composizione di una lista agguerrita, in grado di evitare pessime figure.

Laddove vi è una bella tabula rasa, una tradizione da difendere e potenzialità forse ancora vive, sarebbe l’occasione per quanti sono abituati a stare alla finestra di dimostrare qualcosa, plasmando un partito tutto da modellare attraverso un precedente significativo, un laboratorio creato a propria immagine e somiglianza, sforzandosi di offrire prospettive e non perplessità.

Dubito fortemente che ciò avvenga, ma il ruolo ancillare dell’Udc all’interno della destra non solo abruzzese diventerà probabilmente un ulteriore stimolo alla chiarezza, non per forza conflittuale, ma significativamente dialettica, purché si sappiano percorrere e non solo indicare i percorsi migliori, il cui primo requisito passa attraverso la compatibilità tra affini.

Il Cdu rispunta assai spesso in questo dibattito concomitante con la ripartenza della Dc.

Mi fa piacere, perché ritengo che, come il Psdi sopra citato, questo partito sia stato costantemente sottovalutato per una sorta di preconcetto secondo il quale gli intellettuali, penso in primis a Rocco Buttilgione, non possono albergare tra i gruppi moderati del cattolicesimo democratico (o del riformismo), ma siano destinati irrimediabilmente a compiere un percorso progressivo e progressista.

Nulla di più falso, come dimostra la deriva individualistica della sinistra moderata che da elemento di attrazione si è trasformato in fattore disgregante.

Ma, al di là dei riconoscimenti negati al Cdu, esso è stato azzerato, come ha comunicato lo stesso Mario Tassone e come è stato pubblicato sul sito ufficiale della Dc.

La sua fine ha due ragioni.

La prima è assimilabile a quella della federazione, cioè alla impossibilità di determinare fenomeni impossibili.

Tassone, nel febbraio 2018, ha ricondotto la scissione dall’Udc, che aveva determinato proprio col Cdu, al riallineamento con l’Udc in Noi con l’Italia.

Le scissioni tutto possono fare, meno che tornare da dove erano venute.

E così è finito che né il Cdu né Noi con l’Italia abbiano combinato alcunché.

La seconda è stata l’incapacità di cogliere l’opportunità che, per l’ultima volta, il Cdu aveva di essere elemento di mitigazione del centrodestra in un rapporto diretto con la Lega di Giorgetti, beneficiando di una buona rappresentanza al Sud che forse gli sarebbe stata concessa.

Imbambolati da Cesa e Fitto, resterà per sempre il dubbio che questa rappresentasse davvero un’opportunità.

Ma è storia passata, così come definitivamente chiuso è il Cdu.

Non la Democrazia Cristiana.

I cui intenti programmatici saranno presto definiti.

Ad un party cui tutti i cattolici democratici sono calorosamente invitati a partecipare.