Articolo già apparso sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Felice Accrocca

Il 26 agosto 1869, a Ortignano Raggiolo, in provincia di Arezzo, nasceva Salvatore Minocchi, forse il personaggio più noto, dopo Ernesto Buonaiuti, del modernismo italiano. Allievo del Collegio Capranica, studente alla Gregoriana, sui banchi dell’università conobbe Giovanni Mercati, con il quale avviò un sodalizio intellettuale che si sarebbe intensamente protratto per alcuni anni, prima d’interrompersi all’alba del XX secolo: i due collaborarono attivamente nell’animazione della «Rivista Bibliografica Italiana», con la quale si proponevano di alimentare la cultura del giovane clero attraverso la presentazione critica delle pubblicazioni italiane e straniere più importanti, impegno cui Minocchi diede poi seguito con la rivista «Studi Religiosi», per alcuni anni (1901-1907) molto attiva nel dibattito teologico.

Biblista di buon livello, tra il 1898 e il 1906 dedicatosi anche agli studi francescani con notevole profitto, Minocchi era stato ordinato sacerdote a Firenze dal cardinale Agostino Bausa nel 1892, ma nel 1908 depose l’abito ecclesiastico in seguito alle polemiche che accompagnarono una sua conferenza sulla Genesi nella quale negava valore storico ai primi due capitoli del libro sacro. Sposatosi con Flavia Corradina Cialdini nel 1911, ebbe due figli. 

Prese avvio così una fase nuova della sua vita, determinata anche dalla necessità di doversi guadagnare da vivere: iniziò allora una vivace collaborazione con quotidiani e periodici d’ispirazione laica e socialista, cercando pure di ottenere un inquadramento stabile nelle istituzioni accademiche, tuttavia senza mai riuscirvi appieno.

Nel 1937 riprese i contatti con Giovanni Mercati, in vista anche di un suo possibile rientro nella Chiesa: dopo essere stato per lunghi anni prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, Mercati era infatti nel frattempo diventato cardinale bibliotecario. Gli ultimi anni della vita di Minocchi furono particolarmente duri: al dolore per la morte in guerra del figlio minore, nel 1940, si aggiunsero consistenti difficoltà economiche, che finirono per esacerbarlo ancor più. Morì nel 1943, privandosi volontariamente dell’assistenza religiosa.

L’esito amaro di questa vicenda fu, in definitiva, il compimento di un’esistenza raramente felice, che è stata in gran parte ricostruita — lo si coglie anche nella voce del Dizionario Biografico degli Italiani, redatta da Franco Malgeri — a partire dalle Memorie autobiografiche che si conservano nella Biblioteca Nazionale di Firenze, pubblicate nel 1974 da Attilio Agnoletto. Le Memorie di un modernista risalgono, però, agli ultimi anni della vita di Minocchi, quando egli poteva forse cogliere meglio il senso complessivo delle esperienze vissute, ma di certo in un momento in cui gli eventi successivi, con tutti i traumi che ne erano seguiti, potevano pure condizionare e perfino distorcere la ricostruzione di ciò che era accaduto in anni ormai lontani.

Una fonte insostituibile per ricostruire quindi la vita di Salvatore Minocchi sono i suoi carteggi, dispersi in vari fondi, in gran parte inediti e non ancora censiti: ebbe infatti un nutrito scambio epistolare con Antonio Fogazzaro, ma soprattutto intrecciò un’intensa corrispondenza — in particolare tra il 1893 e il 1901 — con Giovanni Mercati, lettere tuttora conservate nei Carteggi del cardinale Giovanni Mercati, oggi inventariati e accessibili al pubblico (al momento, solo fino al 1936) presso la Biblioteca Vaticana. Nel complesso, più di centottanta missive, oltre centosessanta delle quali relative agli anni 1893-1901: si tratta dunque di un dialogo fittissimo che consente, in più punti, di calibrare meglio, e in qualche caso anche di rettificare, alcuni fatti narrati e diversi giudizi emessi nelle Memorie.

È il caso, ad esempio, della ricorrente affermazione secondo la quale la «Rivista Bibliografica Italiana» fu fondata congiuntamente da Minocchi e Mercati: in realtà, come rivela una cartolina del 1° febbraio 1896 (data del timbro postale), l’iniziativa fu presa da Minocchi assieme ad altri due compagni, che tuttavia sono lasciati nell’anonimato. «Per ora, credi, è quasi un’inezia», scriveva all’amico chiedendogli anche di collaborare. «Ho fiducia che a poco a poco diventerà un periodico importante e sarà strettamente cattolico [sottolineato da Minocchi], perché i miei due compagni di fondazione son più cattolici di me». 

E continua: «Non ti mando prima il programma perché non potresti modificarlo senza mandare all’aria la rivista: è sorta in una settimana o quasi: da principio ci occuperemo di tutti i libri poi prenderemo quell’indirizzo che più si confarrà ai nostri lettori: […] è una cosa semplicissima, ma fatta bene e da persone competenti» (Carteggi, fol. 498r).

Ancora, nelle Memorie lo studioso fiorentino si mostra molto severo con lo zio, don Dionisio Minocchi, parroco a Decimo, presso San Casciano Val di Pesa, reo, a suo giudizio, di averlo condizionato oltre misura nelle scelte di vita, gretto e avaro. 

Nella lettera del 6 maggio 1897, però, confidandosi con l’amico, ne tracciò un ritratto alquanto differente: «Ho un monte di cose da dirti; è tanto tempo che non ti ho scritto! Dunque è morto il mio povero zio parroco: in questi ultimi tempi non andavamo d’accordo, perché egli era contrario a’ miei studi, né io potevo contentarlo a chiudere la mia vita in una parrocchia. Tuttavia ci volevamo sempre bene, ed io lo tenevo come secondo padre. Egli si è ricordato di me lasciandomi a metà erede de’ suoi non molti averi, ed io di lui rendendogli con molto decoro gli ultimi onori e suffragi» (Carteggi, fol. 498r).

Interessante è poi quanto — esternando le proprie convinzioni politiche e il proprio modo d’intendere i rapporti con gli studiosi di diverso orientamento — il 3 novembre di quello stesso anno Minocchi scrisse in una confessione accorata e sincera a Mercati, nella quale non mancò di riflettere sulle rispettive differenze caratteriali: «Io, vedi, sono un po’ mondano, compagnone, forse vanaglorioso e dissipato; tu, invece, vivi ritirato, raccolto in spirito, aborrente dal conversare col secolo; tu sei sempre gioviale, mi pare, io sono abitualmente triste e pieno di rancore contro gli uomini e la natura; vi son dei momenti in cui la considerazione della nequizia degli uomini e dei tempi, e il vedere l’accanimento dei funesti partiti mi indebolisce anche la fede nell’avvenire (non vorrei dire in Cristo). Io sono quindi un essere affatto conciliativo: e questa mia tendenza mi rende un po’ alieno dal partecipare a tutto questo movimento cattolico, che volendo esser papale cessa di essere italiano. Io non trovo niente nella mia coscienza che si opponga al prender parte al futuro congresso degli Orientalisti a Roma (…) E d’altronde se per riguardo di paure più o meno vane ci ritiriamo sempre, noi preti, dalle manifestazioni della vita pubblica, non faremo che nuocere alla causa della verità. Meglio combattere che starsene torpidi» (Carteggi, fol. 966r-v).

A centociquant’anni dalla nascita, c’è ancora tanto da scavare riguardo alla vita di Salvatore Minocchi e all’acceso dibattito che animò gli ultimi anni del pontificato di Leone XIII. Una ricerca che sono certo potrà trarre alimento dai carteggi del cardinale Mercati per nuove, importanti