Merlo: Quali paletti per il centro?

Ora, e brevemente, cerchiamo di elencare alcuni aspetti essenziali.

Dunque, senza avventurarsi in sermoni interminabili, credo sia giunto il momento per piantare alcuni paletti. Pur senza dimenticare che si trattano sempre e solo di opinioni. Soprattutto quando si parla di nuovi equilibri politici e di luoghi politici da ricostruire.

Ora, e brevemente, cerchiamo di elencare alcuni aspetti essenziali.

Innanzitutto, e parlando del fatidico “centro” – politico e culturale, di governo e plurale – da ridefinire e da ricostruire, non possiamo non prendere atto che un centro autonomo e autosufficiente da tutto e da tutti semplicemente è un non senso. O meglio, si tratta di un progetto politico tecnicamente improponibile. Fuorché si faccia della testimonianza la ragione sociale della propria presenza in politica.

In secondo luogo, come ha confermato per l’ennesima volta il recente voto europeo, non esiste un “partito dei cattolici”. Pur con tutto il rispetto del caso, è ovvio che le esperienze del passato, seppur gloriose e nobili, non possono più essere meccanicamente riproposte. E tutti i tentativi messi in campo in questi ultimi mesi – al netto delle buone intenzioni – si sono dimostrati oltrechè drasticamente perdenti anche un po’ patetici e anche goffi. E ciò per una semplice ragione: i partiti “identitari”, e anche un po’ nostalgici, sono semplicemente fuori tempo e fuori luogo.

In terzo luogo, fortunatamente, e’ tornata di moda la “cultura delle alleanze”. Dopo la sbornia della “vocazione maggioritaria” del Pd e la tentazione dell’attuale segreteria del Pd di costruire la coalizione a tavolino pianificando chi deve coprire il fianco destro, il fianco sinistro e il fianco centrista e cattolico, forse siamo arrivati al risultato di far ritornare protagonista nella cittadella politica italiana la grande intuizione della Democrazia Cristiana della “cultura delle alleanze”. E la cultura delle alleanze non può prescindere dal fatto che il “centro” ci sia e che, di conseguenza, si schieri. Fuorché, lo ripeto a scanso di equivoci, decida di giocare un ruolo puramente e stancamente testimoniale.

E quindi, e in ultimo, se il centro deve anche contribuire a costruire una coalizione, non può non decidere da che parte stare. Ora, per fermarsi su questo versante, è indubbio che un “centro” non solo identitario ma plurale deve essere collocato nel contesto storico concreto in cui è inserito. E se la storia, la cultura, il pensiero e la tradizione del cattolicesimo democratico e popolare non può subire una deriva conservatrice o di destra, è abbastanza ovvio che non può non “guardare” da un’altra parte. A due condizioni, però: che sia radicalmente autonomo e che sappia esprimere una posizione politica netta, con un definito riferimento culturale, con un radicamento sociale e territoriale e con un classe dirigente altrettanto autorevole. Ovvero, un “centro” che non sia un banale e stanco prolungamento di ciò che decide e vuole l’azionista di maggioranza della coalizione. E che, soprattutto, esprima una posizione politica e non un semplice posizionamento geografico.

Ecco, questi mi pare sono alcuni paletti essenziali – seppur affrontati in chiave volutamente sbrigativa ed essenziale – per orientare il dibattito e il confronto sul “nuovo partito di centro” che sta per decollare. Certo, restano sempre e solo opinioni. Ma è indubbio che la fase della contemplazione e della semplice osservazione e’ ormai alle nostre spalle. Il recente voto europeo accelera una fase politica che deve vedere proprio il “centro” protagonista politico, culturale e programmatico e non una semplice comparsa.