Le elezioni in Germania e Francia saranno determinanti per il futuro dell’Unione Europea. Sullo sfondo s’intravede anche la possibilità di cambiare i Trattati. Siamo di fronte a un passaggio epocale.

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L’Unione Europea sta avviandosi verso mesi di grande importanza per il suo futuro. E ciò al di là del lavoro che la Conferenza sul medesimo tema inaugurata lo scorso 9 maggio saprà (o meno) svolgere. Naturalmente l’evoluzione pandemica sarà un fattore non secondario, soprattutto se – Dio non voglia – la variante Delta dovesse non solo, come ora, minacciare l’autunno ma addirittura rovinarlo. Oltre questa incognita non certo secondaria, però, esistono alcuni elementi che avvalorano l’affermazione iniziale.

Per la prima volta l’UE in quanto tale ottiene dal mercato finanziario denari che vengono utilizzati per supportare interventi straordinari di ripresa dei singoli Paesi. La prima tranche di questi quattrini freschi è in arrivo. Per la prima volta ci sarà dunque un debito comune, in euro. L’ortodossia ordoliberale subisce un primo smacco, ad opera di un piano che già nel suo nome (Next Generation UE) indica il futuro e quindi implicitamente indica una via ormai intrapresa e da non abbandonare. La stessa Unione in quanto tale non si limita a regolamentare il Piano ma, assai più attivamente, lo gestisce vincolando i miliardi destinati a ricostruzione e rilancio (o resilienza che dir si voglia) a dettagliati impegni di riforma che ogni nazione dovrà rispettare: e le riforme, si badi, sono tutte all’interno di un più ampio indirizzo generale comune, appunto europeo.

L’Unione Europea sta così cercando di trasformare una difficoltà – enorme – in una opportunità. Un’opportunità che potrebbe nei fatti riformare i Trattati, prima di una loro effettiva riscrittura maggiormente coerente con la pur celebrata e conclamata unità “sempre più stretta” fra i suoi diversi Stati aderenti.

In questo quadro, che mostra indubbiamente elementi di positività, si inseriranno a breve le due elezioni politiche più importanti del continente: quelle tedesche e quelle francesi. Come cinque anni prima, saranno decisive per il futuro europeo.

In Germania non si tratterà solo di eleggere il nuovo Parlamento. Si tratterà di sostituire la leader che ha rappresentato la nazione tedesca negli ultimi 15 anni. Imponendosi – al di là degli errori commessi, che pure ce ne sono stati – come l’unica statista continentale e quindi come la leader di fatto dell’Unione. Non è dunque, il prossimo autunno, un passaggio da poco, a Berlino.

Qualche mese più tardi, saremo già nel 2022, la Francia dovrà – si spera – ribadire il suo “no” alla tensione sovranista incarnata, per la verità con minor vigore (almeno all’apparenza) dalla Destra di Marine Le Pen. Il presidente Macron non è più l’outsider giovane e brillante della volta scorsa. Ma, oltre i limiti derivanti da una qual certa caratterialità del personaggio, resta in ogni caso non solo il baluardo più forte di fronte all’offensiva della Destra ma pure un convinto sostenitore dell’ideale europeista (sia pure…in salsa francese!).

Berlino e Parigi, cinque anni fa, furono decisive per fermare l’avanzata, che pareva imperiosa, dei movimenti nazionalisti e populisti. Questa volta saranno decisive per assicurare un futuro all’Unione che ha guardato al proprio domani ideando e adottando Next Generation UE.