Articolo pubblicato sulla rivista Atlante della fondazione Treccani a firma di Mattia Diletti

Mercoledì abbiamo dedicato la newsletter di AtlanteUSA2020 a George Floyd, l’ultimo di una lunga serie di afroamericani morti, da disarmati, per mano della polizia. Negli ultimi 20 anni è accaduto altre 21 volte, quasi sempre nell’ultimo decennio. Michelle Bachelet ‒ ex presidente del Cile e ora alto commissario dell’ONU per i diritti umani ‒ è intervenuta ieri ufficialmente chiedendo agli Stati Uniti di adottare misure adeguate a contenere il fenomeno. L’ha definita «l’ultima di una lunga serie di omicidi di afroamericani disarmati commessi dalla polizia americana o da privati cittadini» per i quali gli Stati Uniti «dovrebbero assicurare giustizia». Dice l’alto commissario: «Le procedure devono cambiare, devono essere messi in atto meccanismi di prevenzione e, soprattutto, i funzionari di polizia che ricorrono a un uso eccessivo della forza dovrebbero essere accusati e condannati per i crimini commessi». E poi: «accolgo con favore il fatto che le autorità federali abbiano annunciato l’avvio immediato delle indagini (…), ma in troppi casi, in passato, tali indagini hanno portato alla giustificazione degli omicidi per motivi discutibili, oppure a comminare sanzioni solo di tipo amministrativo». E per chiudere: «il ruolo che la discriminazione razziale, radicata e pervasiva, svolge in tali atti deve essere pienamente esaminato, adeguatamente riconosciuto e affrontato». La morte di George Floyd è divenuta un fatto politico globale. Però è anche un fatto politico molto locale. La reiterazione della violenza della polizia su afroamericani disarmati la trasforma in un fatto nazionale, ma vale la pena parlare di Minneapolis: un piccolo laboratorio politico sconvolto da un fatto di sangue, il secondo in 5 anni. Nel 2015 un altro afroamericano, Jamar Clark, è morto per mano della polizia: a suo dire Clark, da terra, avrebbe tentato di impadronirsi della pistola di un poliziotto.

Minneapolis, però, è una città che possiede antiche radici progressiste e operaie (sorge lungo il Mississippi, e forma un’unica area metropolitana con la città di Saint Paul, che si trova esattamente sull’altra riva del fiume). Il Partito democratico, in città, è al potere ininterrottamente dal 1978; lo Stato ‒ il Minnesota ‒ vota senza soluzione di causa per un candidato presidente democratico dal 1976 (nessun altro Stato del Paese ha una storia elettorale così stabile). Il partito si chiama in realtà Minnesota Democratic-Farmer-Labor Party, da quando ‒ a metà degli anni Quaranta ‒ il Partito democratico e il Farmer-Labor Party si fusero in un’unica entità politica, federata con il Partito democratico nazionale: uno degli artefici della fusione fu Hubert Humphrey, il futuro vicepresidente di Lyndon Johnson (ed ex sindaco di Minneapolis, ma anche quello della famigerata Convention di Chicago del 1968).

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