L’autore compone il romanzo storico di una Repubblica ricca di immaginazioni e povera di immaginario. Molto è cambiato, se non tutto. Si è persa infatti – dopo Moro – l’idea della politica come “intelligenza degli avvenimenti” e capacità di persuasione, la democrazia come tensione e non come conquista. Dopo di lui, la politica è stata sempre più affidata esclusivamente ai rapporti di forza.

C’è una frase di un articolo giovanile di Moro pubblicato su “La Rassegna” di Bari (siamo nel 1944) che vale la pena ricordare: «Il nostro posto è all’opposizione, il nostro compito è al di là della politica. Noi non abbiamo aspirazioni a governare. Non vogliamo il potere, perché esso ci fa paura. Potrebbe rendere anche noi conservatori, conservatori, non fosse altro, di una libertà meschina e personale. Potrebbe abituarci al compromesso, potrebbe insegnarci la finzione. E noi vogliamo essere liberi, liberi di tutta la libertà dello spirito». 

Fedele a questa convinzione, Moro scelse per sé un ufficio periferico e distaccato a via Savoia, nel quartiere Salario. Un tentativo di tenersi a prudente distanza dal Palazzo e di marcare una differenza tra il suo modo di intendere la vita (e la politica) e quello dei suoi colleghi e compagni di partito. Nelle pagine del libro di Marco Follini, Via Savoia: il labirinto di Aldo Moro, La Nave di Teseo Edizioni, c’è molto di quello che non si trova nelle analisi e ricostruzioni storiche. In particolare, lo studio ubicato al civico 88 di via Savoia. Sembra quasi di vederlo: il parquet che scricchiola, i rumori attutiti, le zone d’ombra. Insieme alle abitudini del suo illustre inquilino: il lavaggio frequente delle mani, gli occhiali, le bretelle. La restituzione della sensazione fisica, quasi tattile, di quella politica e del personaggio che più di tutti la incarnava. 

Scrive Follini: Moro “rispondeva minuziosamente a tutte le lettere che riceveva. Lo faceva a modo suo, mettendoci del tempo. Magari quelle carte restavano a prendere polvere sulla sua scrivania per un paio di mesi, o anche più. Ma poi arrivava il momento di gettarvi uno sguardo e non era mai uno sguardo distratto o impersonale. Semmai tardivo. Come se il tempo, intanto, vi avesse conferito un valore maggiore”. 

Nella ricognizione dei tempi e dei luoghi, Follini compone il romanzo storico di una Repubblica ricca di immaginazioni e povera di immaginario. Come sottolinea Marco Damilano nella prefazione, quello dell’autore è “il primo tentativo di indagare, con delicatezza e sensibilità, nella profondità dell’animo di chi ha incarnato il partito-Stato e le istituzioni repubblicane in una stagione in cui le identità collettive prevalevano sulle biografie. Il codice della leadership era impersonale, al contrario di oggi”. 

Si è persa infatti – dopo Moro – l’idea della politica come “intelligenza degli avvenimenti” e capacità di persuasione, la democrazia come tensione e non come conquista. Dopo di lui, la politica è stata sempre più affidata esclusivamente ai rapporti di forza. Moro è stato certamente anche un uomo di potere, lo ha maneggiato in tutti i suoi aspetti. Nessuno come lui conosceva e sapeva decifrare “la passionalità intensa e le strutture fragili” della democrazia italiana. Ma proprio per questo immaginava la costruzione di percorsi complessi, di tempi diversi, di un “pensiero lungo” (come direbbe Ciriaco De Mita), senza esaurire un progetto politico nello spazio di un tweet o di un girotondo. 

Al lettore non può certo sfuggire il rapporto inversamente proporzionale tra il metodo di Moro “a penetrare la sostanza dei problemi, a descriverne gli sviluppi e le implicazioni, a farne materia di ragionamento nell’articolazione di possibili sintesi” e il crescente decisionismo che ha ridotto il ruolo delle assemblee elettive a luoghi di ratifica di decisioni prese altrove. E che ha sminuito, a ben vedere, anche la varietà delle posizioni ammesse nel dibattito pubblico.

Via Savoia è il “romanzo storico-politico” che finora mancava nel panorama editoriale italiano. E il protagonista del romanzo è anzitutto un eroe della ritirata, destinato all’incomprensione, costretto a difendersi più che ad avanzare, a custodire quello che gli è stato affidato dal logoramento. Follini aggiunge dettagli e particolari inediti su una figura complessa e mai abbastanza esplorata, lavora sui chiaroscuri, componendo un “ritratto labirintico” pieno di politica e umanità. Una lezione di conoscenza, di curiosità e condivisione, di complicità con le singole persone e con le loro miserie e cadute, che è il senso della vita e della politica per l’autore e per il suo personaggio che mai potremo dimenticare.