Mounier e il suo discernimento: riedizione di un saggio del filosofo francese curata da Stefano Ceccanti. Intervista su RaiNews.

Nuova edizione, curata dal costituzionalista Stefano Ceccanti e dal filosofo Giancarlo Galeazzi, del libro “I cristiani e la Pace”, del grande filosofo cattolico francese Emmanuel Mounier, padre del “personalismo comunitario”. Di seguito riportiamo un ampio stralcio del colloquio con il costituzionalista e parlamentare del Pd.

Pierluigi Mele

Il costituzionalista Stefano Ceccanti e il filosofo Giancarlo Galeazzi curano una nuova edizione, appena pubblicata, acquistabile su Amazon, dall’Editrice Castelvecchi  di un libro del grande filosofo cattolico francese Emmanuel Mounier, padre del “personalismo comunitario”: “I cristiani e la Pace”. In questa intervista a Stefano Ceccanti ci facciamo spiegare l’importanza di questo saggio.

Ceccanti, lei e il prof. Galeazzi, presentate, in un momento particolare, questa nuova edizione di un bellissimo testo di Emmanuel Mounier. Cosa contiene di così strategico per riproporlo oggi?

Mounier ci guida in un difficile discernimento. Cosa fare di fronte a forme di volontà di potenza come quella manifestata da Hitler con l’aiuto a Franco nella Guerra di Spagna, con la pace ingiusta e provvisoria di Monaco? Certo, la storia non si ripete, non è mai uguale, le analogie sono sempre imperfette. Inoltre, il discernimento, da un lato suppone dei criteri universali e l’assunzione di una responsabilità, dall’altro, tuttavia, accetta che anche persone che hanno una medesima ispirazione possano arrivare in concreto a esiti diversi. Il discernimento esclude perciò tanto il relativismo quanto i fondamentalismi, i semplicismi. Qual era il punto di partenza di Mounier? La teoria della guerra giusta è stata contestata perché finiva per essere, di fatto, un passe-partout, in cui nella Chiesa cattolica si finiva per ritenere giusta qualsiasi guerra fatta da cattolici, anche senza i toni da ‘guerra santa’ usati oggi dal patriarca Kirill e, all’epoca, da vari vescovi spagnoli durante la Guerra di Spagna. 

Però non si poteva e non si può per questo passare all’estremo opposto per cui a priori ogni forma di legittima difesa armata sarebbe inaccettabile. C’è sempre la possibilità che una volontà di potenza come quella di Hitler allora e come forse quella di Putin oggi debba essere arginata anche con le armi. Chi ci assicura che dopo l’Ucraina non possa essere la volta di Moldova, Georgia e forse anche dei Paesi baltici, se non si reagisce? Mounier, quando rifiuta il bellicismo e il pacifismo astratto, ci invita esattamente a questo tipo di discernimento storicamente concreto. 

Lei arricchisce il volume con una densa prefazione in cui, da giurista, analizza, tra l’altro, alcuni contenuti del pensiero di  Mounier con la Dottrina Sociale della Chiesa e la Costituzione italiana. Quali correlazioni, in particolare con l’articolo 11 della nostra Costituzione? 

L’articolo 11 va letto per intero. Il ripudio della guerra è ripudio di tutte le forme di aggressione, delle nostre, ma anche di quelle altrui. Per questo esso, in un unico comma, sfocia sulle limitazioni di sovranità e quindi su organizzazioni sovranazionali capaci di rispondere alle guerre di aggressione, capaci di porre gli aggressori in condizione di non nuocere. L’articolo 11 è stato utilizzato in modo coerente sia per l’adesione all’Onu, sia per quella alle varie Comunità europee (oggi Unione europea), sia alla Nato. Scelte sulle quali o sin da subito o comunque in progressione nel corso dei decenni si è verificata una sostanziale convergenza delle forze che avevano votato la Costituzione. Peccato che non si riuscì, a causa del blocco da parte del Parlamento francese, a dar vita nel 1954 alla Comunità europea di Difesa, a cui De Gasperi e Spinelli avevano dato una curvatura anche di federalismo politico. Si pensi che grazie ai due grandi italiani l’articolo 38 del Trattato prevedeva che l’Assemblea parlamentare della Ced si costituisse in Assemblea costituente per redigere un progetto di costituzione federale o confederale per l’Europa dei Sei.

Torniamo però all’Onu. Se si legge bene la Carta di quell’Organizzazione agli articoli 51 e 52 troviamo tre principi: diritto di autodifesa degli aggrediti, centralità del Consiglio di Sicurezza, valorizzazione in chiave sussidiaria di accordi regionali. Ora, in caso di aggressioni ad altri Paesi, anche non alleati, quali sono le scelte più conformi nella logica dell’articolo 11? La migliore in assoluto è quella di dar seguito alle decisioni del Consiglio di Sicurezza, ma se esso risulta bloccato come in questo caso a causa del veto russo, bisogna comunque utilizzare gli altri due perni: supporto al diritto di autodifesa degli aggrediti e scelte multilaterali in sede Ue e Nato. Quello che stiamo facendo non è quindi in deroga all’articolo 11, ma in coerenza con esso e sempre in una logica di scelte proporzionate, di equilibrio tra il bene che si fa nell’aiutare chi si difende e il male che si arreca a chi attacca. Per questo diamo armi ma non entriamo in uno scontro frontale con una no fly zone. 

 

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