Articolo pubblicato sulle pagine di Città Nuova a firma di Mario Dal Bello

Napoleone. “Lui” non c’è mai venuto. Sognava a dire il vero di venire addirittura incoronato a San Pietro, come Carlo Magno, ma non ci è mai riuscito. Però di Roma e del suo mondo era innamorato.

Gli piaceva la storia: Giulio Cesare era tra i suoi modelli. Era esaltato dalla lettura delle biografie degli uomini illustri scritta da Plutarco, di cui si sentiva l’erede. Non per nulla come stemma aveva adottata l’aquila imperiale e per l’incoronazione a Notre Dame il 2 dicembre 1804 aveva indossato la porpora e cinto la testa con una corona d’alloro (aurea, ovviamente) e la sua corte vestiva all’imperiale, cioè come si usava ai tempi dei Cesari. Un esempio? Il celebre ritratto della sorella Paolina adagiata come Venere scolpito da Canova (Galleria Borghese), il grande artista neoclassico amato da Bonaparte.

I francesi Roma la conoscevano bene, nel Seicento schiere di artisti vi soggiornarono, da Simon Vouet a Poussin a Lorrain. Non tutti forse sanno che la celebre cappella Contarelli dipinta da Caravaggio nel 1600 a san Luigi dei Francesi apparteneva ad un cardinale francese, appunto.

Il Settecento poi, l’epoca del Grand Tour, aveva innalzato il mito della Roma antica come faro di civiltà e bellezza. Ma i francesi erano venuti pure in un altro modo: nel 1797 a rapire il papa Pio VI e a farlo morire a Valence, e poi nel 1809 a fare lo stesso con Pio VII. Finiva lo stato pontificio, Roma diventava la seconda città dell’impero, il figlio di Napoleone era designato come “re di Roma”. Il sogno di una Europa unita sotto lo scettro francese sulle orme di Cesare e Alessandro Magno pareva realizzato.

Ovvio allora che ai Mercati di Traiano, i grandi centri commerciali antichi così ben conservati, sotto le volte e dentro alle “tabernae” ci siano ben 100 pezzi di una rassegna intitolata “Napoleone e il mito di Roma”.

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