Niki Lauda, un grande europeo

E’ stato, sinceramente, un grande europeo, in un’epoca in cui l’europeismo non era di moda.

Era forte, Niki Lauda, e si fa fatica adesso a parlarne al passato. E’ una figura familiare presente da tanto tempo, che pare quasi infinito. Sconfitto dalle complicanze di una polmonite, a 70 anni. Figlio di noti banchieri viennesi, un cognome fatto apposta per i titoli delle prime pagine dei giornali. Un “self made man” che si dedica alle corse nonostante la contrarietà della famiglia, da cui si separa bruscamente. Arriva al successo negli anni Settanta, quando la Formula 1 è “un club di ex garagisti inglesi” come da brillante definizione di Gianni Brera. Diventa campione del mondo nel momento del boom televisivo del Circus. E’ il primo pilota moderno, quasi rivoluzionario in temi come sindacato piloti (Grand Prix Drivers Association, che prima non esisteva), contratti, sponsor, sicurezza. Dopo l’incidente del 1976 al Nuerbuergring, da cui esce miracolosamente vivo (portandone però le cicatrici per il resto dei suoi giorni) chiede e ottiene l’istituzione della Safety Commission, realtà che opera ancora oggi per la sicurezza dei circuiti.

Era un formidabile cinico, un volto con la sua storia esposta, paura compresa, quella che lo fermò in Giappone, sempre nel 1976, consegnando il titolo mondiale a James Hunt, un amico, al contrario di quanto raccontato dal regista Ron Howard nel film “Rush”. Diceva che la sensibilità di guida si sviluppa con il sedere e non era una battuta, ma un’informazione tecnica. Faceva quasi tenerezza con il suo italiano (con forte accento tedesco) farcito di parolacce e sprovvisto di punteggiatura. Tanto lontano e riservato al volante, quanto lucido ed esauriente nel lungo post-carriera, in cui ha inaugurato due compagnie aeree (Lauda Air, Niki) e più di recente è stato presidente del reparto corse della Mercedes. Impossibile non notarlo mentre si aggirava nel paddock, con la giacca a vento e il cappellino rosso (sempre lo stesso). E’ cresciuto in un’epoca in cui gli addetti stampa non esistevano. Luca Cordero di Montezemolo? “Bravo ragazzo, but completely crazy”. Enzo Ferrari? “Dopo Mondiale 1977 noi no parlati per cinque anni. Poi visto lui a Imola e noi abbracciati”. Lewis Hamilton? “Grande pilota, ma io no potere vedere lui con orecchini” (testuale).

E’ stato, sinceramente, un grande europeo, in un’epoca in cui l’europeismo non era di moda. Ragionava concretamente in termini europei, già negli anni Settanta, ritenendo “inutili” i nazionalismi. In definitiva, ci sono campioni che lasciano dietro una scia di successi e altri che ti insegnano a pilotare l’esistenza, sbandate comprese. Niki Lauda ha dimostrato che nella vita si può e si deve andare avanti, imparando a convivere con le proprie cicatrici. Ha scritto la nostra storia, mentre era impegnato a scrivere la sua. Diceva di sè: “Non ho amici, ho solo dei quasi amici”. Tutti noi, ecco. Presi adesso da una tristezza da abbandono che proprio non va giù.