Articolo già apparso sulle pagine dell’Osservatore Romano, edizione settimanale in lingua italiana del 1 agosto, a firma di Andrea Monda.

«Ed è, in fondo, anche qui il bello della nostra Costituzione, che non esonera nessuno da responsabilità, tanto meno in questa materia». La “materia” in questione è l’informazione, e al mondo della comunicazione si è rivolto giovedì mattina, 25 luglio, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel tradizionale appuntamento della consegna del “Ventaglio” da parte dell’Associazione stampa parlamentare. E quale sia la responsabilità di chi opera in questo campo è presto detto: «In ragione della professionalità e deontologia che caratterizza la loro funzione» i giornalisti «devono agire con indipendenza e con rigore per alimentare credibilità e fiducia, nell’assolvimento della missione di servire i governati e non i governanti, sempre anteponendo la verifica delle notizie all’anelito dello scoop». 

Nel suo discorso il presidente ritorna più volte su questa espressione “servire i governati e non i governanti” che è ripresa letteralmente dalla sentenza del 1971 della Corte suprema degli Stati Uniti investita dal caso Pentagono papers, sulla politica americana sul Vietnam. È grazie al servizio di una stampa libera che i governati, i cittadini, ha affermato Mattarella, «possono formarsi un’opinione consapevole e liberamente critica». È chiara l’idea di fondo: l’informazione è un servizio e non un potere, e finché resta un servizio può svolgere una funzione di contro-potere; un’idea questa che è «uno dei cardini della democrazia liberale […] da questa si può andare avanti, progredire. Non certamente retrocedere per tornare a un invasivo esercizio del potere di chi governa». 

Il libero esercizio di questo contro-potere è tanto più urgente oggi al tempo della rivoluzione digitale che «ha cambiato il volto del pianeta in breve tempo» investendo «il sistema delle relazioni interpersonali, come pure l’economia, il mondo del lavoro, della scienza e della cultura». Questa rivoluzione così pervasiva interpella intensamente la coscienza dell’uomo «su temi che vengono messi in discussione, come la libertà, la dignità delle persone, la dimensione della riservatezza». Su questo punto Mattarella si sofferma evidenziando le questioni che attengono al profilo politico (la tenuta democratica) ma anche quelle più direttamente esistenziali, umane: «L’egemonia di pochi colossi dell’impresa digitale assume una pervasività sin qui sconosciuta. Gli strumenti per guidare in modo positivo l’evoluzione digitale, a servizio delle persone, consistono nell’applicazione puntuale dei principi sui quali si basa l’esperienza liberal-democratica, costruita a caro prezzo da tanti popoli. Non esistono “non luoghi”: si tratta comunque di spazi, sia pure virtuali, in cui interagiscono persone e si registrano attività umane; e anche la dimensione digitale deve rispettare principi e regole frutto delle conquiste democratiche».

Al presidente sta a cuore la struttura istituzionale ma prima ancora “il sistema delle relazioni interpersonali”, una dimensione che nella sua riflessione si allarga al sistema paese e a tutto il continente europeo a cui ha dedicato la prima parte del discorso: l’Europa che fuoriesce dalle elezioni di maggio, secondo Mattarella, mostra «una visione e un atteggiamento di maggiore solidarietà, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni che si sentono, e sono, sempre di più, popolo europeo. Appare sempre più evidente l’importanza capitale del non isolarsi». Parole forti e fortemente sentite che lo portano ad affermare lapidariamente che «Non c’è futuro al di fuori dell’Unione europea. Di fronte alle grandi questioni e numerose sfide, tutte di carattere globale, in un modo sempre più condizionato da grandi soggetti, i singoli paesi dell’Unione si dividono tra quelli che sono piccoli e quelli che non hanno ancora compreso di esser piccoli anche loro». 

Il pubblico composto esclusivamente da direttori dei quotidiani, delle agenzie giornalistiche e dai giornalisti accreditati presso il Quirinale, segue con attenzione, recepisce i messaggi, espliciti e impliciti, ma quello che a tutti risulta chiaro è che il discorso del presidente è stato un inno alla libertà di informazione, una libertà mai scissa dal senso della responsabilità, oggi forse più importante e decisiva che in passato.