Articolo pubblicato sulle pagine della rivista ACRI

Giovanni Teneggi è direttore generale di Confcooperative Reggio Emilia. Da anni studia e racconta il fenomeno delle “cooperative di comunità”, un’originale forma di organizzazione sociale, che si sta diffondendo in tutta la Penisola.

Per cominciare, cosa sono le cooperative di comunità?

Le cooperative di comunità sono “imprese abitanti”: ovvero strumenti di riconciliazione fra la dimensione della cittadinanza e quella economica. Il reale e duraturo sviluppo di un territorio si realizza, infatti, solo coniugando questi due aspetti: una cittadinanza realmente protagonista e un’economia utile per il benessere della comunità. Difficile dire quindi se si tratta di esperienze sociali che sviluppano economie o di economie che producono relazioni e coesione sociale e a dire il vero poco ci importa. Il risultato è un’impresa sostenibile e competitiva in contesti di più difficile accessibilità alle risorse.

Spesso, parlando di cooperative di comunità, cita le “economie di luogo”, di cosa si tratta?

Sono economie che non possiamo riconoscere senza includere il luogo nelle quali si sviluppano, i suoi caratteri, la sua gente, la sua storia. Sono economie che intendono la capitalizzazione sociale, ambientale, culturale dei luoghi nelle quali operano come fattore essenziale di continuità e competitività. Sono economie generate da luoghi che tornano ad essere di destino per i propri abitanti nativi, ritornanti, adottivi o affettivi. Sono economie, infine, che vivono la partecipazione delle istituzioni sociali locali non come responsabilità o vincolo, ma come opportunità di un reciproco processo trasformativo, verso nuovi livelli di competitività sostenibile.

Cosa ci può insegnare l’esperienza di chi, nel mondo ultrarapido e liquido di oggi, sceglie di tornare a popolare i paesi delle aree interne italiane?

Chi torna a popolare paesi delle aree interne italiane ci indica l’urgenza di tornare a un luogo come carattere della propria esperienza di vita, sociale ed economica. Non necessariamente un luogo “sperduto”. Potrebbe essere anche un condominio, un quartiere metropolitano, una periferia, un centro rurale denso. La chiave è “fare luogo”, dove si decide o si ha l’occasione o la necessità di stare. Perché l’area interna non è geografica, ma sociale e umana: sugli Appennini come nelle metropoli c’è una grande e urgente necessità di recuperare luoghi in cui i membri delle comunità possano ritrovarsi e imparare nuovamente a vivere in una dimensione ecosistemica con ciò che li circonda.

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