Non vedo la crisi della neonata Dc

Chi ha a cuore la Dc è nelle condizioni di entrarvi ed offrire il suo contributo, con molta più libertà e creatività rispetto a quanto lo si poteva fare in un partito più grande ed ingessato.

Rispondo al resoconto di Infante, assente dai lavori del Consiglio Nazionale della Dc e solo per questo ampiamente scusato per le inesattezze rilevate.

Innanzitutto mi inquieta che un partito possa avere una giusta via, soprattutto di questi tempi.

Mi sembra una definizione che risponde ad una logica un po’ integralistica ed un po’ socialistica, che fa emergere i reconditi riferimenti dei critici interni di questa Dc, che poco si correlano col mondo liquido e complesso, quale è quello in cui noi agiamo.

Solo l’incontro tra differenti sensibilità, pronte a ridefinire ed a riposizionarsi, può permettere in questo momento una sintesi ed una proposta efficace.

Rilevo, invece, che alcuni amici da anni ripetono il solito mantra:  generiche parole d’ordine (tra cui il bene comune, da declinare in politica e non utilizzabile come ampia maglia per la selezione e la scelta politica), eccessiva attenzione per le aggregazioni pre-politiche incapaci di sfociare in una stabile organizzazione politica (che si chiama partito ed ha dei precisi confini), finendo così per prediligere la scelta dell’ottimate in casa altrui (purchè, però, non sia una casa di destra, anche moderatissima e, quindi, in mancanza del centro mai fatto nascere, non può che essere di sinistra).

Fontana non ha criticato, al Consiglio Nazionale del 13 dicembre, il documento politico-programmatico sull’Europa che, da un lato ribadisce la scelta euro popolare ma dall’altro richiede riforme, anche verso il Ppe, in ordine al completamento dell’architrave istituzionale per la creazione degli Stati Uniti d’Europa e, soprattutto, in relazione al superamento di una finanziarizzazione sfuggita di mano agli stati democratici e sovrani per la trasformazione del ruolo delle banche centrali e di quelle di affari e commerciali.

Quando si affrontano e si offrono soluzioni a problemi come questi non si può parlare di grave carenza di analisi: sfido partiti ben più grandi e strutturati che hanno a cuore la democrazia – ed in particolare il Pd – ad assumere posizioni altrettanto chiare e coraggiose.

Ma con chi le si possono realizzare per evitare la consueta produzione di documenti che aiutano a rendere cospicua la foliazione di certi giornali toscani, ma non si riverberano nelle sedi istituzionali frequentate ed indirizzate dagli eletti?

Innanzitutto con gli amici democratico-cristiani che si sono dispersi in mille rivoli, mantenendo una rete aggregativa più o meno diffusa, ma pur sempre preziosa in tempi difficili come questi.

Tra essi non c’è l’Udc, ormai confluita in Forza Italia nei livelli apicali, alla cui residua militanza è stato indirizzato un caloroso invito a confluire nella Dc, ma nei confronti della quale è stata inoltrata formale diffida all’utilizzo del simbolo dello scudo-crociato da appena quattro giorni.

Questo atto poteva e doveva essere compiuto ben prima, se si voleva costruire davvero l’esperienza autonoma, perché il simbolo è certamente un terreno fondamentale attorno a cui si giocherà la capacità di aggregazione della Dc.

Ciò non toglie che l’orizzonte a livello continentale della Dc resti il Partito Popolare Europeo.

Sappiamo bene chi ne fa parte e realisticamente diciamo che a spalancare le porte all’allora Forza Europa fu un tale Kohl.

Irrealistico opporvisi.

Sarebbe più realistico apprezzare che la CDU tedesca, in un momento non facile, abbia saputo mantenere la barra al centro scegliendo Annegret Kramp-Karrenbauer rispetto ad un candidato alternativo collocabile molto più a destra.

Anche alla luce di ciò, appare assolutamente gratuito e strumentale parlare di derive a favore della destra e di guida monocorde di Berlusconi.

Il Ppe rappresenta, al contrario, il baluardo nei confronti della destra, soprattutto oggi che la crisi dei socialisti è sempre più virulenta e che solo rassicurando l’elettore medio sui temi della sicurezza economica e dell’immigrazione si può evitare uno slittamento del consenso a favore degli estremisti.

Ed il Ppe è l’unica forza in grado di farlo.

Per rintuzzare Berlusconi bisogna rafforzare l’area democratico-cristiana, evidentemente attingendo ai quadri ed ai simpatizzanti dello scudo-crociato.

In questo senso l’operazione di riavvicinare tutti gli spezzoni democristiani appare intelligente e condivisibile proprio nell’ottica di rendere il centro politico sempre più simile e continuativo rispetto agli ideali della Dc, estranei alla debolezza valoriale di Forza Italia.

Tanto Grassi quanto Fontana si battono a favore dell’autonomia del partito.

Il primo ha dato la sensazione di farlo attraverso la ricostituzione di un’organizzazione propria, in qualche modo in grado di riproporsi sul terreno della competizione elettorale, il secondo ha confidato su una lunga marcia nel corso della quale si sarebbero intercettate forze e sensibilità di un più vasto mondo cattolico.

La sensazione che si ha è che questa marcia si sia tramutata in un’Odissea talmente lunga e con compagni di viaggio talmente distratti da rendere impossibile l’approdo ad Itaca.

Resta il partito della Democrazia Cristiana, all’interno del quale sarà bene smetterla di stilare classifiche su chi ha maggiore o minore familiarità con gli insegnamenti sturziani e degasperiani, i quali, al di là delle ricostruzioni posteriori e di parte, si posero in alternativa alla sinistra senza condividere la destra.

Il primo requisito per il rinnovamento della Democrazia Cristiana è che la Democrazia Cristiana esista.

Oggi non vi sono neppure i signori delle tessere, dal momento che, a congresso concluso, si inizia una nuova fase di reclutamento dei soci e di scelta della classe dirigente.

Chi ha a cuore la Dc è nelle condizioni di entrarvi ed offrire il suo contributo, con molta più libertà e creatività rispetto a quanto lo si poteva fare in un partito più grande ed ingessato.

Certo che se l’impegno è profuso all’esterno del partito, animato da figure esterne al partito e la riflessione è estranea a quella che si svolge nel partito, è legittimo ritenere che, a costruire l’altro partito cattolico, per la difficoltà che ciò impone, non possano che essere uno o più vescovi.

I quali, però, dovranno attrezzarsi per compiere un nutrito numero miracoli