Anche se ha fatto un certo effetto, l’uscita di Massimo D’Alema non mi ha convinto.

Intanto che quando c’era da condividere gli sbagli degli americani il buon D’Alema non si è certo tirato indietro, e i civili serbi massacrati durante il suo governo ne sanno qualcosa.

Poi certo, rispetto al livello di questo Parlamento lui è una spanna sopra, come Bodrato, De Mita e pochi altri. E va sottolineato il suo riconoscimento della politica di dialogo con il mondo arabo della prima repubblica, nei fatti la linea della Democrazia Cristiana.

Adesso Trump si è lasciato ingolosire dall’eliminazione azzardata di Qasem Soleimani, per la sua campagna elettorale e per rinsaldare i rapporti con Israele.

D’Alema si limita a indicare le ragioni di questo grave errore  del presidente americano. Ma non si può continuare a ripetere che nell’accordo con l’Iran di Obama vi fossero solo luci. C’erano nel contempo molte ombre. Mai dimenticare che nei piani di Obama e della Clinton la Siria sarebbe dovuta cadere sotto il dominio del Califfato “islamico”, allevato da americani, francesi, inglesi e sauditi, e il mondo arabo sarebbe dovuto finire gradualmente sotto l’influenza degli integralisti della Fratellanza musulmana.

A quel punto, per evitare più fronti insieme, serviva una sorta di armistizio con l’Iran, un dilazionamento di qualche anno della destabilizzazione della potenza persiana. L’accordo sul nucleare iraniano nasce così. Poi la buona fede, e gli interessi, dell’Europa, che corrispondono nella fattispecie a quelli italiani, sono un altro aspetto della faccenda.

Piuttosto, giunti a questo punto, con quelli che i media si ostinano ancora a chiamare “ribelli siriani”, in realtà schegge dell’Isis trasferite in Libia, alle porte di casa, con la Russia e la Turchia ai ferri corti, con le macerie di decenni di destabilizzazione del Medio Oriente e del Nord Africa, forse ci si dovrebbe chiedere cosa potrebbe innescare tutto ciò, se a prevalere non saranno le ragioni della ricostruzione su quelle di una ulteriore frammentazione.