Dopo l’intervento di Draghi, tutto centrato sulla risposta politica alla drammatica emergenza da covid-19, si stringe il nodo della discussione, finora svolta a mezza bocca, sul governo di unità nazionale. In tutto il mondo si affronta la pandemia con la premura di un salvare la popolazione anche dalle gravi ripercussioni economiche.

In America, pur in piena campagna elettorale, Repubblicani e Democratici hanno sottoscritto un’intesa che capovolge ogni ortodossia neo liberista, impegnando risorse per 2000 miliardi di dollari a sostegno della produzione e dei consumi. Non ha prevalso l’interesse di parte: Trump e i suoi avversari condividono, come suol dirsi, onori e oneri dell’operazione.

In Belgio, come ricordava ieri Marco Olivetti su “Avvenire”, un accordo di questo tipo è stato raggiunto nei giorni passati. Il governo avrà l’appoggio in Parlamento di alcuni partiti non facenti parte della compagine ministeriale. Tuttavia, il partito dei sovranisti belgi, alleato in Europa della Lega, rimane fuori dall’intesa.

Qui sta il problema politico.

In tutta Europa è in corso da tempo la battaglia su una sorta di “arco costituzionale”, come negli anni ‘70 venne di moda dire in Italia, dal quale sono escluse le forze radicali di destra.

La Merkel continua a governare con i socialdemocratici e il suo partito, la Dc tedesca (Cdu-Csu), mantiene e rafforza la pregiudiziale nei riguardi degli anti europeisti (AfD), anche a costo di perdere consensi elettorali.

In Austria il giovane cancelliere Kurz ha rotto con gli ultra nazionalisti e ora governa con i Verdi. L’esperimento riporta i popolari (Övp) nell’orbita di un’alleanza di centro sinistra, con gli ecologisti al posto dei socialdemocratici.

In Francia, dove Macron sconta per altro le contraddizioni del suo progetto neo giscardiano, nessuna forza politica, dai socialisti ai neo gollisti, prende in considerazione l’ipotesi di un’alleanza di governo con Marine Le Pen.

Ora, invece, lo scenario italiano sembra comunque riprodurre l’antico equivoco dell’avventura berlusconiana: la mancata delimitazione a destra del modello di democrazia dell’alternanza. Sicché il governo di unità nazionale, consistendo in pratica nel ritorno di Salvini al potere, darebbe luogo alla semplice conferma delle precedenti deviazioni.

In questo senso l’Italia si confermerebbe un’eccezione – decisamente negativa – nel quadro della politica democratica dei Paesi europei.

Altro sarebbe, viceversa, se la prospettiva di unità nazionale segnasse la rottura del centro moderato rispetto alla sua implausibile – cosa ne direbbe un De Gasperi redivivo? – collaborazione con la destra radicale e sovranista.

Il centro moderato, anche solo in aderenza alle ultime dinamiche del Partito popolare europeo (Ppe), dovrebbe ridefinire limpidamente il suo profilo politico. Di questo si mostrano convinti alcuni settori di Forza Italia, in specie quelli di tradizione socialista, mentre rimangono silenti i reduci filo berlusconiani della diaspora democristiana.

A ostacolare la ripresa di iniziativa dei moderati ex dc concorre soprattutto il fondamentalismo della  galassia del cattolicesimo reazionario, nutrito di spirito anti conciliare e mentalità anti politica, per il quale torna la vecchia suggestione del blocco d’ordine in funzione di un cieco antagonismo verso la sinistra.

In sostanza, qualora non intervenisse l’auspicata liberazione di tutto il centro – il problema riguarda i moderati e conservatori, non ovviamente i cattolici democratici – dall’abbraccio con la destra sovranista, il varo di una politica di ampie solidarietà implicherebbe la pura riproduzione di tutti gli errori del passato. Non sarebbe un male tanto e solo per l’onore del cattolicesimo politico, ma per la credibilità stessa del nostro Paese.

Dobbiamo renderci conto che la proposta che va sotto la sigla dell’unità nazionale non può rappresentare la via di contagio dall’Italia verso l’Europa del pericoloso germe del sovranismo.