Le capitali dell’Occidente dovrebbero comprendere che la sfida di Putin non è limitata a Kiev. È la proposizione di un “ordine multipolare” nel quale gli occidentali dovranno recitare una parte secondaria, certamente diversa e inferiore a quella giocata sinora.

Quando finalmente questa guerra terminerà quali saranno i suoi effetti a livello globale dal punto di vista delle alleanze geopolitiche? La domanda è di grande interesse perché se (come ha titolato la rivista Limes) “la Russia cambia il mondo” non è di secondario interesse comprendere “come” questo mondo muterà. 

Qualche interrogativo in effetti merita porselo alla luce dei numerosi Paesi che si sono astenuti (ben 58) nelle votazioni all’ONU sulla sospensione della Russia dal Consiglio per i Diritti Umani, oltre ai 24 che si sono espressi con un “No” (per la cronaca, i “Sì” sono stati 93). Rammento al lettore che gli astenuti erano stati 35 (solo 5 i contrari) nella votazione del 2 marzo di condanna dell’aggressione russa all’Ucraina.

La convinzione ormai consolidata di Putin è nota: l’ordine mondiale a guida unipolare statunitense sorto con la morte dell’URSS è finito, in seguito all’emersione di nuove potenze planetarie (la Cina) e alla riemersione della Russia, una Russia storica e neo-imperiale che riprende leadership in tutto lo spazio ex sovietico e viene riconosciuta per questo anche dagli occidentali. Non solo. Una Russia in grado di costruire nuove alleanze internazionali. Con la Cina, certamente (con la quale si è aperta un’éra di “amicizia senza limiti”, sottovalutando il rischio di divenirne col tempo un mero vassallo, vista la differenza di forza economica sottostante); ma pure con nazioni ancora oggi inquadrabili nella rete di alleanze americane.

Paradigmatico, e preoccupante, è il caso dell’India, la nazione che si avvia a divenire la più popolosa del globo. New Delhi insieme a Canberra, Tokyo e Washington ha dato vita alla strategica QUAD, l’alleanza nell’indo-pacifico che mira a contenere l’allargamento dell’influenza cinese nell’area. Interesse vitale per l’India, evidentemente. Ciò nondimeno il recente incontro del ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, con il suo collega indiano ha consentito al primo di affermare, con una certa soddisfazione, di poter avviare una proficua collaborazione fra i due Paesi. L’India quindi nella vicenda ucraina non si schiera. Ma ciò equivale, a fronte dell’enormità di quanto sta avvenendo su quel territorio, se non ad un sostegno certo ad una non condanna delle scelte aggressive di Mosca. 

Segnale di grande preoccupazione per l’Occidente, che quest’ultimo dovrebbe analizzare con grande attenzione.

Un’altra potenza regionale, per di più nucleare, che ha deciso di non schierarsi è il Pakistan. Luogo di transito anche jihadista, come noto. E così pure, sempre in Asia, l’altro grande Paese musulmano, l’Indonesia. La retorica anti-occidentale di Putin evidentemente qualche ascolto lo conquista. L’Occidente dovrebbe domandarsi perché. Gli americani in primis. Giungendo a rilevare come la gestione vaccinale anti-Covid 19, ad esempio, non sia stata particolarmente apprezzata da quelle parti. Troppo incentrata sui ricchi Paesi del nord del mondo, poco generosa nei confronti di quelli più poveri. O finalmente riconoscendo che l’invasione dell’Iraq fu un errore i cui effetti arrivano sino ad oggi, con le “perplessità” (eufemismo) asiatiche verso gli occidentali, americani e britannici in testa, ovviamente.

Ma pure nel medio-oriente l’astensionismo testimonia la serietà del problema per Washington e i suoi alleati. E se l’astensione dell’Egitto del generale al-Sisi, sempre più legato a Mosca nella gestione del problema libico (a conferma della crescente presenza russa nel Mediterraneo, altra questione di non poco conto) poteva essere immaginata, quella di Arabia Saudita ed Emirati Arabi e pure del Qatar fotografa un potenziale pericolo che la Casa Bianca non potrà sottovalutare. Certo, si tratta di regimi illiberali impossibili da associare a qualsivoglia concetto democratico. Ma gli occidentali, interessati alle risorse energetiche da questi possedute, hanno sempre sorvolato sul punto. 

Ora invece qualcosa sta accadendo. Pare quasi che autocrazie, dittature, dispotismi vari stiano, progressivamente e senza un piano prestabilito o un ordine in qualche modo pianificato, convergendo verso un “risentimento” per ora generico nei confronti dell’Occidente, da taluni visto come “decadente”, da altri come “egoista”, da altri ancora come portatore di una visione e di una realtà effettuale “materialista” e insensibile alle ragioni dell’Assoluto e dello spirito, e più o meno da tutti come un predatore delle ricchezze del pianeta senza averne titolo, non foss’altro per la sua esiguità demografica, in costante declino. 

Un Occidente che oggi accoglie generosamente gli ucraini dopo aver respinto anche erigendo muri i disperati provenienti dall’Afghanistan piuttosto che dalle coste meridionali del Mediterraneo (con l’unica eccezione per i siriani accolti dai tedeschi) con quali facilità può ottenere il consenso di iracheni, libanesi, giordani? Ma anche dei messicani, a conferma che il tema migratorio sarà uno dei principali di questo secolo, soprattutto se le fosche previsioni sul cambiamento climatico verranno confermate tramutandosi in realtà. 

Insomma, l’Occidente mostra crepe interne con l’astensione del Brasile, che se dovesse confermare alla presidenza Jair Bolsonaro sarebbe tragicamente incamminato verso una forma di autocrazia antiambientalista dannosissima per l’intero pianeta; con la complicata alleanza militare di cui è parte la Turchia di Erdogan, sempre più autoritaria ed assertiva; con l’insidia interna alla stessa UE cresciuta a Budapest e Varsavia, in entrambe le capitali sul rispetto dello stato di diritto e nella prima anche su quello delle relazioni con Mosca.

La democrazia sta retrocedendo nel pianeta. E il modello autocratico ha addirittura osato lambire il centro del “mondo libero”, con la non accettazione da parte di Donald Trump del risultato elettorale del novembre 2020 e l’assalto del 6 gennaio seguente al Campidoglio.

E allora, se così stanno le cose, le capitali dell’Occidente dovrebbero comprendere che la sfida di Putin non è limitata a Kiev. È la proposizione di un “ordine multipolare” nel quale gli occidentali dovranno recitare una parte secondaria, certamente diversa e inferiore a quella giocata sinora. Sembra che siano in molti, là fuori, ben poco interessati alla “democrazia” di matrice occidentale e a ritenere invece che l’uomo del Cremlino abbia più d’una ragione. In qualsiasi modo si concluderà la guerra in Ucraina, è un tema che si proporrà. Meglio saperlo per tempo.