Articolo pubblicato sulle pagine dell’huffingtonpost

Man mano che avanza la consapevolezza delle difficoltà legate all’esperienza di governo, cresce il dilemma in seno al Pd sulle scelte da compiere nell’interesse generale del Paese. Qualcuno, risolutamente, brandisce come una spada l’ipotesi di un congresso anticipato.

Sembra quasi una minaccia, non si capisce rivolta a chi. E tuttavia, dinanzi alla instabilità del quadro politico istituzionale, del congresso avrebbero bisogno tutti, anche quelli che non appartengono al Pd o non votano per esso. Il confronto interno deve infatti mirare a un profondo chiarimento sulla riorganizzazione della proposta politica.

La vera minaccia opera contro il Pd, ovvero contro la sua stessa natura e funzione di originale formazione politica. Infatti, l’idea di un congresso che regoli la partita nel senso del ritorno all’autonomia della sinistra, rompendo l’equilibrio tra riformismo laico socialista e riformismo cattolico democratico, sancirebbe di fatto la fine del Pd.

Mascherare con affabulazioni identitarie la riproposizione di una “gioiosa macchina da guerra”, darebbe il colpo di grazia all’esperimento che racchiudeva e ancora, a mio avviso, dovrebbe racchiudere l’integrazione di culture e sensibilità diverse nell’ambito del progressismo democratico e costituzionale.

L’accordo di governo è nato da un’esigenza destinata a durare per tutto il tempo della pericolosa fiammata del sovranismo a guida salviniana. Di certo le elezioni anticipate sarebbero la dimostrazione del fallimento non già di questa o quella forza politica, ma dell’opzione generale che ha portato alla collaborazione quadripartita (M5S, Pd, Italia Viva e LeU).

Molti elettori sono rimasti delusi dal modo con il quale abbiamo incarnato la scommessa del “nuovo riformismo” italiano. Allora il congresso avrebbe senso se fosse lo strumento per riaprire il dialogo con gli orfani – davvero tanti – di una speranza apparentemente tradita.

Dovrebbe pertanto annunciare il gesto di conversione alla umiltà di una politica di autentica convergenza democratica, senza la pretesa di una costrittiva uniformità burocratica. Forse dovremmo parafrasare il motto di De Gasperi per adattare a noi stessi quanto basta a convincerci che solo se saremo generosi potremo essere uniti, così da poter sperare, fondatamente, che proprio perché uniti saremo anche forti.

Certamente, in virtù di tale afflato di generosità reciproca, più forti di quanto oggi sia possibile registrare a seguito di scissioni e abbandoni, talvolta silenziosi e irreparabili. C’è un’Italia che mostra di credere alla positività di un messaggio di fiducia e speranza.

Le sardine, con il loro richiamo inaspettato a una politica di sereno confronto, non insegnano nulla?