Pandemia Covid-19: l’umanità impreparata. Intervista ad Arnaldo Benini

Arnaldo Benini è professore emerito di neurochirurgia e neurologia dell'Università di Zurigo. È stato primario di neurochirurgia alla Schulthess Klinik di Zurigo. Tra le sue pubblicazioni in italiano, ricordiamo, per Garzanti, Che cosa sono io. Il cervello alla ricerca di Sé stesso (2009) e La coscienza imperfetta. Le neuroscienze e il significato della vita (2012); per Raffaello Cortina Neurobiologia del tempo (2017) e il recente La mente fragile. L'enigma dell'Alzheimer (2018). Ha curato l'edizione italiana di Un Universo di propensioni (1991) e di Tre saggi sulla mente umana di Karl Popper (1992). Collabora alle pagine di Scienza e filosofia dell'edizione domenicale del Sole24Ore e alla pagina culturale del Corriere del Ticino.

Fra i temi attuali s’impone la pandemia da coronavirus. È d’accordo?

Certo. È un evento con aspetti non solo medico-sanitari, ma anche etici ed esistenziali. È la seconda volta in un secolo, dopo l’influenza “spagnola”  del 1918-1920, che l’umanità è minacciata da una pandemia virale. Allora non se ne conosceva la causa e non si seppe che cosa fare. Morirono 100milioni di persone. Oggi la causa si conosce (almeno in parte), ma non si sa ancora combatterla se non limitando al massimo i contatti umani. Gli interventi in questo senso sono pesanti, ma opportuni. L’esperienza apocalittica insegnò che crisi sanitarie di quelle dimensioni non si affrontano con provvedimenti improvvisati. Sorsero servizi sanitari nazionali che si federarono poi nella World Health Organization (WHO) delle Nazioni Unite, che sorveglia la condizione sanitaria del globo. Ma la crisi ci coglie di nuovo impreparati. Non s’è imparato niente, nemmeno dalle epidemie virali degli ultimi anni.

Nel  2013 lei ha recensito per il Domenicale del SOLE-24ORE il libro di David Quammen “Spillover”  pubblicato in italiano con lo stesso titolo nel 2017. Lo studio anticipa, fin nei dettagli,  la pandemia attuale del coronavirus COVID-19. L’allarme, lanciato da virologi di tutto il mondo, di un imminente, inevitabile “big crash”, fu ignorato. Perché  questa clamorosa disattenzione dei decisori politici che dovrebbero tradurre in prevenzione i dati delle ricerche scientifiche?                                                  

I “decisori politici”, come li chiama lei, negli ultimi decenni hanno disatteso questo e altro. La loro dabbenaggine è stata ed è insigne. I politici di basso rango che guidano oggi il mondo cercano non di convincere gli elettori al meglio, ma di soddisfarne i desideri. E l’umanità, ha scritto nello studio “Le Parasite” il  filosofo francese Michel Serres, è composta prevalentemente di parassiti, simili a virus, batteri e funghi. L’umanità utilizza e violenta la natura spietatamente. Quando la crescita di una specie raggiunge dimensioni innaturali, essa o si arresta lentamente o per crollo improvviso. Una volta superati i 6 miliardi di persone, ammonì  il biologo Edward 0. Wilson, l’umanità è prossima all’incompatibilità con l’ambiente. La popolazione è di 7 miliardi e mezzo e cresce di 70 e più milioni l’anno. Si è estesa e dilaga in tutti gli angoli della terra, sconvolgendo ecosistemi remoti e antichi di millenni, costruendo strade, estirpando e asfaltando boschi e foreste, usando a profusione e senza criterio concimi tossici e antibiotici, inquinando aria, laghi, mari, fiumi e torrenti, trivellando in terra e in mare. L’alterazione violenta degli ambienti è una delle cause delle mutazioni degli agenti patogeni e quindi delle epidemie e pandemie.  È assurdo cercare l’origine della pandemia attuale in  un mercato cinese. Nel 2017 uno dei maggiori virologi, l’americano Ralph S. Baric, alla domanda circa il pericolo di una pandemia catastrofica, ammonì che la prima barriera preventiva sono le infrastrutture di sanità pubblica: maggiore igiene, strutture mediche più efficienti e un sistema di assistenza in grado di attivarsi velocemente. Inoltre era indispensabile rafforzare la ricerca per capire i virus. Parole al vento. Si sono ridotti, anche drasticamente, in Italia e altrove i fondi per la ricerca e la sanità pubblica. Gli ospedali e l’assistenza medica nel paese più ricco e potente del mondo sono – dice il governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo – disastrosi. Gli Stati Uniti sono ora il fulcro della pandemia. In compenso s’investono miliardi per arrivare primi sul pianeta Marte nel 2030. Per far che cosa? Che  cosa hanno portato all’umanità i viaggi sulla luna di mezzo secolo fa? Su Marte non si farà nulla di utile. Si confermerà solo la follia umana.

Potremmo essere già coinvolti in questo “schianto planetario”?

 L’aumento enorme della popolazione, ammassata in città di dimensioni che facilitano contagi  e inquinamenti, l’aumento della temperatura, la polluzione che altera e indebolisce i polmoni: tutto ciò ed altro ancora hanno portato da anni virologi, epidemiologi, biologi a prevedere un big crash micidiale. Non è un caso che le epidemie da coronavirus si siano ripetute negli ultimi anni fino alla penetranza di quella attuale. Passata la buriana, si  continuerà ad asfaltare, sradicare, inquinare. Convegni e congressi sull’inquinamento  ambientale sono farse con aspetti grotteschi. 

Per Peter Medawar, premio Nobel per la medicina nel 1960, “i virus sono frammenti  di cattive notizia avvolti in una proteina”. La “cattiva notizia” è il filamento REM che costituisce il genoma virale. Come avviene che un virus diventa aggressivo?

Per molte generazioni, e anche per secoli o millenni, può stabilirsi un equilibrio ecologico fra un virus meno aggressivo e un ospite più resistente in un ecosistema relativamente stabile. La tregua finisce se il virus cambia ospite per zoonosi (il passaggio da una specie all’altra), per  mutazione genetica casuale, cambiamento dell’ecosistema, evento quest’ultimo, data l’insipienza umana, oggi senza tregua. 

Che cosa  farà scoppiare il  “next big one”? Il Rapporto ONU sull’estinzione della biodiversità, approfondito ad aprile/maggio 2019 in sede UNESCO dai 130 Paesi aderenti all’Ipbes, denuncia come la Terra si trovi alla soglia della sesta estinzione di massa della sua storia, la prima attribuita ai comporta-menti umani.

Per molti epidemiologi il “next big one”, cioè la riduzione drastica della popolazione, sarà provocata da una pandemia virale e non batterica, perché i batteri sono vivi e vegeti, ma, fin quando non diventeranno resistenti agli antibiotici usati nel modo scriteriato attuale, sono controllati.  Si prevede una malattia influenzale da virus-RNA (come quella attuale), facilitata dai collegamenti fra regioni lontane e dalle città mostruosamente popolate. I virus potrebbero essere nuovi per mutazione oppure esser vissuti in altri animali e attaccare l’uomo per la prima volta, privo di difesa in ambienti sfavorevoli per eccesso d’abitanti. Anche se questa previsione non dovesse avverarsi pienamente, per miliardi d’esseri umani la vita potrebbe diventare un inferno. 

Solo tra qualche anno si saprà  se tutto ciò che sta accadendo è causato da uno sbaglio in laboratorio,  da un uso strumentale della virosi per scatenare una guerra  o dal passaggio del virus da un pipistrello  al corpo di un abitante di Wuhan. 

Ricerche attendibili escludono che il  coronavirus COVID-19 sia il prodotto di un  errore dilaboratorio o di un calcolo  militare.  

Per sperare in una fine della pandemia dobbiamo aspettare l’alternanza dei corsi e ricorsi storici, la scoperta di un vaccino o rassegnarci al fatto che il virus compia il suo ciclo? Ci sono altre strade per poter dire “ce la faremo?”.

L’immunologo milanese Albero Mantovani e molti altri specialisti in tutto il mondo ammoniscono che ogni previsione è prematura, cioè impossibile, perché non conosciamo ancora a sufficienza la biologia del nemico, del COVID-19. In gennaio l’Organizzazione mondiale della sanità avvertì che la pericolosità del COVID-19 era dovuta principalmente alla frequenza delle sue mutazioni, circa 30 volte più frequenti degli altri coronavirus. Il 28  febbraio si sono trovate 350 diverse sequenze geno-miche, il 9 marzo altre 50. Studi più recenti sembrano dimostrare che le mutazioni non sarebbero marcate, ma resta il fatto che il virus cambia. Si pensi alla varietà del quadro clinico: l’80per cento delle persone infettate non ha disturbi o solo lievi, il 15-18 per cento disturbi rilevanti, e l’1 o 2 per cento una polmonite incurabile che porta a morte in pochi giorni anche persone giovani e sane. Come si può pensare che si tratti dello stesso agente patogeno? È più verosimile che si tratti di agenti  che mutano spesso. A Bergamo e Brescia si è verosimilmente selezionato un virus aggressivo, altrove è, fino ad ora, più benigno, ma può cambiare da un momento all’altro. Circa la durata: la “spagnola” ci ammonisce che ogni illusione è pericolosa. Nei mesi estivi del 1918 la malattia sembrò spegnersi, ma negli ultimi tre mesi dell’anno i morti furono tanti che si temette la fine dell’umanità. Poi la malattia si attenuò, fino a sparire. Spontaneamente, perché contro di essa non s’era fatto nulla. La spiegazione più logica è quella delle casuali mutazioni genomiche del virus, la prima in senso aggressivo e poi benigno.  Le mutazioni rendono la protezione degli anticorpi temporanea. Per lo stesso motivo difficile e delicato è l’allestimento del vaccino: come allestirlo se il nemico cambia così spesso? Si ammonisce ora che un vaccino che agisca su una forma benigna potrebbe avere effetti negativi. Ce la faremo, con tante vittime, contando anche su una mutazione virale benigna. Fino alla prossima volta, dove arriveremo inesorabilmente impreparati e dopo aver massacrato un altro po’ di mondo.

Lei ha accennato a problemi etici.

 Se il numero dei colpiti gravi intaserà le sale di rianimazione, i medici, il cui lavoro è veramente eroico e molto rischioso, saranno posti di fronte ad un problema etico senza precedenti: dover scegliere chi curare e chi lasciare al suo destino per ragioni di posto. Già ora Accademie mediche diffondono raccomandazioni e linee di condotta. Sento l’atrocità d’un tale dilemma, al quale, in quaranta e più anni di professione, non sono mai stato obbligato. C’era posto per tutti. E di ciò sono grato al destino.