Paolucci: i cattolici devono ritrovare le proprie ragioni d’impegno civile e politico

Sì tratta di un laboratorio che privilegia la consapevolezza del ruolo di ciascuno nella società, nella politica intesa come piena espressione della democrazia e piena realizzazione di ogni persona nella società.

Sturzo riteneva che il risveglio di partecipazione dei cattolici e laici popolari alla politica rinnovasse i moti del Risorgimento, ai quali notoriamente avevano partecipato tutte le classi sociali, innescando quel rinnovato spirito di partecipazione che egli chiamava popolarismo.

Oggi, a distanza di cent’anni da quella fondazione, che prese anche di sorpresa la Chiesa ( l’iniziativa di Sturzo fece tabula rasa di tutte le varie unioni cattoliche conservatrici con a capo il nobile Della Torre, nominato direttamente dal Papa), di fatto si stanno ripetendo analoghe situazioni. Fondamentalmente, la dispersione o diaspora dei cattolici e laici nelle varie formazioni politiche, in lotta anche acerrima fra di loro, ne è il paradigma.
Non solo, ma osserviamo un’ulteriore divisione nei modi e nei tempi sulle proposizioni che i cattolici dovrebbero seguire per reinserirsi a pieno titolo nella politica attiva. I temi del cattolicesimo democratico popolare e liberale, temi che riprendono i valori che Sturzo prima e De Gasperi poi propugnavano, sono lucidamente gli stessi ieri e oggi: la promozione del lavoro come volano dell’economia e della realizzazione di ciascuno, la difesa della famiglia naturale, la tutela dell’impresa, lo sviluppo dei territori attraverso le autonomie comunali, il tutto inquadrato nella centralità della persona (v. il personalismo comunitario di Maritain), che nulla ha a che vedere col socialismo e/o attuale comunismo ( lo chiamerei capitalismo di Stato, che avanza in alcuni paesi del mondo, Cina in primis, ma anche Turchia, India, e altri paesi emergenti).

Il laboratorio italiano è invece un insieme di iniziative che comprendono le nostre radici culturali derivanti dal Vangelo e dal Pensiero Sociale della Chiesa. Parliamo di ciò che ha attraversato la storia di due millenni, generando quella economia di mercato che ha inizio in Toscana nel Rinascimento (su iniziativa dei mercanti e dei monaci Francescani come San Bernardino da Siena e anche di Sant’Antonino da Firenze vescovo) e prosegue poi con l’economia civile di Antonio Genovesi, a metà del ‘700. Ai nostri giorni essa si potrebbe tradurre in una economia che abbia come guida i valori dell’uomo, ponendosi come tutela dei più poveri e dei meno integrati, e superando perciò in Italia le categorie dei poveri assoluti e dei poveri relativi, così da sorreggere la classe media in difficoltà, ridotta rispetto al passato e costretta a una lotta di sopravvivenza.

Si tratta di un laboratorio che privilegia la consapevolezza del ruolo di ciascuno nella società, nella politica intesa come piena espressione della democrazia e piena realizzazione di ogni persona nella società. Deve esserci la certezza perciò che ognuno possa vivere in aderenza alle proprie aspirazioni, con il diritto a realizzare se stesso, quale che sia l’etnia di appartenenza e il luogo di provenienza. La sostanza dei “moti popolari d’ispirazione cristiana“ è questa: garantire la centralità della persona uomo e donna nella politica, nell’economia e nella società, superando gli ostacoli dello statalismo o capitalismo di Stato e/o del neoliberismo sfrenato. Tutti sistemi che travolgono le persone e generano le condizioni di un moderno schiavismo.