È abbastanza noto che siamo in una stagione politica dominata ancora dal trasformismo. Frutto e  conseguenza del populismo che ha avuto il suo massimo fulgore con le elezioni politiche del 2018  e con la schiacciante affermazione del movimento di Grillo. Una deriva politica che ha travolto i  connotati della politica tradizionale, travolgendo i partiti, indebolendo la figura del politico,  innalzando l’antipolitica, la demagogia, l’antiparlamentarismo e, appunto, il populismo a dogmi  intoccabili del “nuovo corso”. Non era affatto difficile prevedere quale poteva essere l’epilogo  finale di questa ennesima moda che ha entusiasmato settori consistenti della pubblica opinione  del nostro paese. Con la vittoria netta e senza appello delle forze populiste ha fatto irruzione  anche il trasformismo. Un trasformismo politico e parlamentare che è sotto gli occhi e che non  merita di essere ulteriormente descritto per essere capito. Cancellate o molto addolcite le  tradizionali appartenenze politiche e culturali, intercambiabilità dei ruoli politici e, soprattutto, la  più totale inespressività della stragrande maggioranza della classe parlamentare. 

Ora, di fronte ad uno scenario sufficientemente noto e conosciuto, ci sono solo due strade per  tentare di invertire la rotta. Due strade difficili da percorrere ma indispensabili se non si vuole  squalificare sempre di più la politica e indebolire, al contempo, lo stesso tessuto della nostra  democrazia. E cioè, quindi, favorire il ritorno delle culture politiche da un lato e impegnarsi per  ricreare i partiti dall’altro. Sono elementi decisivi e qualificanti che si intrecciano l’un l’altro.  

Senza culture politiche non può esserci alcun confronto politico costruttivo, serio e fondato su  valori, principi, progetti politici e visioni di società. Le culture politiche sono l’anima della  democrazia ma, soprattutto, sono l’architrave di una politica democratica e costituzionale. Al  riguardo, il panorama che abbiamo di fronte è persin troppo chiaro. Non si capisce bene, detto in  termini molto semplici, quale sia l’oggetto del confronto politico in atto. La surreale ed  irresponsabile crisi di governo voluta da Renzi resta un oggetto misterioso sotto il profilo politico  se non la volontà – quella sì percepita da quasi tutti – di cacciare Conte, che non gli è simpatico, e  di ritagliarsi un ruolo di maggior visibilità politica. E, almeno spera il capo di quel partitino  personale, di potere nel futuro. Perchè quando ogni riferimento culturale ed ideale è pressochè  inesistente lo scontro politico verte solo ed esclusivamente sul potere. E così è, purtroppo. 

E, accanto alle culture politiche, è decisivo il ritorno dei partiti. Quando dico partiti non penso,  come ovvio, ai grandi partiti popolari e di massa del passato. Penso, semmai, a partiti politici  democratici, collegiali, radicati nel territorio, interpreti di una cultura politica e di un blocco  sociale. Sì, lo chiamo ancora blocco sociale perchè i partiti senza un riferimento sociale  sufficientemente definito sono semplicemente scatole vuote. E quindi, e di conseguenza, rispedire  al mittente i partiti personali, del capo, i grigi e banali cartelli elettorali e le aggregazioni che  nascono dai soli escamotage trasformistici. E il ritorno dei partiti, se mai avverrà, coincide anche e  soprattutto con il ritorno delle classi dirigenti. Che resta il vero limite della attuale stagione politica  italiana.  

Forse è arrivato il momento per chiudere l’ormai troppo lunga stagione dominata dalla esaltazione  della incompetenza, della inesperienza, del pressapochismo e della radicale alterità rispetto al  passato. L’ideologia dell’”anno zero”, cioè la moda di radere al suolo tutto ciò che ti ha preceduto,  ha fatto il suo tempo e va al più presto archiviata. Senza ulteriori deroghe. Senza i partiti politici,  dunque, non c’è neanche la democrazia dei partiti. Ma, semmai, per dirla con Carlo Donat-Cattin,  compare la “democrazia delle persone”. E quindi l’esplosione del più brutale trasformismo. 

Ecco perchè l’appello lanciato dal Premier Conte in Parlamento “ai popolari, ai socialisti e ai  liberali” non può passare sotto silenzio e deve essere salutato positivamente e con un pizzico di  speranza. Forse, forse, è bene ribadirlo due volte, può ripartire una nuova stagione politica. Ma  per battere il trasformismo politico e parlamentare, il ritorno delle culture politiche e dei partiti  sono indispensabili. Se mancano, tutto resta come prima. Cioè il caos politico e parlamentare.  Come capita puntualmente in queste settimane.