Pensiero cristiano e modernità. Torresi ricostruisce l’ambiente intellettuale da cui uscirà nel dopoguerra la classe dirigente cattolica.

 

Per gentile concessione pubblichiamo uno stralcio dell’introduzione a La scure alla radice. «Studium», la cultura cattolica e la guerra (1939-1945), Studium, 2022, ultimo lavoro d’indagine e ricostruzione storica di Tiziano Torresi. Alleghiamo al testo la foto che campeggia in copertina del volume (presente già sulle piattaforme digitali, in primis su Amazon).

 

Tiziano Torresi

Paolo VI, in un discorso rivolto alla «benemerita famiglia» di Studium, nel febbraio 1964, ne qualificava la storia con un ossimoro: modesta e gloriosa. Il ricordo della penuria di risorse degli intellettuali a lui vicini sin dalla giovinezza amplificava il loro merito agli occhi del Papa: aver contribuito a dare una cittadinanza al pensiero cattolico nella cultura italiana. Eppure, nonostante i protagonisti dell’impresa abbiano spesso vantato questo merito, la storia su Studium, al pari di quella sui movimenti intellettuali dell’Azione cattolica, resta oggi alquanto modesta e bisognosa di verificare in maniera neutrale, complessiva e documentata se la loro fu vera gloria.

 

Da un lato l’importanza dell’elaborazione culturale del gruppo di Studium, editrice e rivista, per la maturazione del laicato intellettuale in Italia e per la diffusione di un sapere cristiano qualificato è nota da tempo agli studiosi. Dall’altro nella storiografia sul movimento cattolico i riferimenti a Studium sono apparsi quasi sempre sullo sfondo di altre vicende, le voci parziali, i pochi contributi d’insieme segnati da una prospettiva autoreferenziale. Negli ultimi anni, anche con l’accrescersi dell’interesse per la storia dell’editoria italiana, il quadro si è però arricchito.

 

[…] La storiografia ha portato alla luce gli obiettivi di questo ambiente intellettuale: conciliare il pensiero cristiano con la modernità, coniugare fede e cultura, propiziare una maturazione teologicamente fondata dell’impegno morale del cristiano e della sua coscienza civile. Gli studi restituiscono l’immagine di un gruppo di redattori e di autori consapevole del valore pionieristico di questi obiettivi. Un gruppo determinato a evitare ogni preclusione settaria, aperto a nuove contaminazioni, a un approccio interdisciplinare agli argomenti, al contatto con personalità di altri circuiti ecclesiali, ma senza eclettismo.

 

L’attenzione riservata dalla storiografia al rapporto tra la cultura cattolica e il fascismo ha inoltre permesso di indagare il campo che questo gruppo coltivò con più fervore, complice il progressivo restringimento degli spazi di libertà: quello della moralità professionale. La formazione di un ceto intellettuale professionista aveva una potenziale proiezione nella vita pubblica che rappresentò uno dei motivi di maggiore tensione con il fascismo. Sebbene negli anni Trenta il significato politico della strategia degli intellettuali cattolici vicini a Studium restasse indeterminato, si delineò un’alternativa dentro il sistema dalla quale scaturì una ricerca di nuove prospettive per il cattolicesimo.

 

Conferme sul ruolo svolto da Studium nella cultura cattolica dell’epoca si ricavano anche dal recente volume di Renato Moro, Il mito dellItalia cattolica. Lo storico propone infatti una riconsiderazione globale e, per molti aspetti, sorprendente di come, nel gioco di riflessi tra fede nazionale, fede cattolica e fede fascista, si sia in larga misura plasmata l’identità stessa del popolo italiano. Egli spiega come l’uso politico della religione negli anni Trenta e l’identificazione tra nazione e cattolicesimo difesa dal fascismo e apparentemente trionfante con la Conciliazione, finì col ritardare la presa di coscienza della reale natura ideologica e sostanzialmente pagana del regime da parte dei cattolici e celò, sotto la maschera di una presunta etica collettiva cattolico-nazionale, diffusa a livello popolare, una drammatica, inesorabile scristianizzazione della società. Dal volume emerge in modo chiaro come, in tutto questo, il cenacolo di Studium abbia rappresentato una significativa area di minoranza all’interno del cattolicesimo italiano, nella quale si espresse ripetutamente la preoccupata consapevolezza del pericolo di un’involuzione totalitaria del regime. La rivista, in particolare, fu in prima linea nel denunciare i rischi delle nuove religioni politiche neo-pagane e dimostrò un’acuta sensibilità verso gli scarsi e talvolta controproducenti esiti della stessa politica concordataria.

 

Uno sguardo complessivo degli studi sulla prima fase della vita di Studium permette di cogliere anche un altro aspetto: rivista, editrice e Laureati, fino al 1939, non sono che gli strumenti diversi di un unico impegno alla mobilitazione di idee che si riassume in un nome solo. Quello di Igino Righetti. La sua personalità domina gli intellettuali dell’Ac, guida la redazione, determina lo stile dell’editrice; nel passaggio della rivista dalla Fuci ai Laureati, nonostante precarietà e incertezze, egli scommette su un progetto culturale non più affidato all’alternarsi delle generazioni studentesche ma proiettato nei tempi lunghi dell’impegno civile e professionale; intuisce che l’attenzione alla storia del movimento cattolico – si pensi alla determinazione con la quale a metà degli anni Trenta egli cerca la collaborazione di Stefano Jacini – è alimento per un nuovo protagonismo nella storia.

 

Cosa accadde a questa impresa culturale quando morì il suo giovane artefice e mutò il contesto ecclesiale in cui era cominciata? In che modo Studium, entrando nella sua «vita adulta», restò fedele alla missione originaria e durante la bufera della seconda guerra mondiale diventò una voce autorevole della cultura cattolica? E in che misura, in una lenta gestazione di idee, contribuì alla rinascita democratica e alla definizione delle coordinate della ricostruzione? È possibile illuminare, attraverso il prisma di Studium – editrice e rivista considerate come la duplice espressione di un medesimo gruppo, con una sensibilità, un orientamento e uno stile propri e riconoscibili – i connotati di un periodo del cattolicesimo italiano troppo spesso considerato come l’epilogo di una storia già nota o il preludio di nuovi sviluppi, e, dall’altro, a collocare la riflessione del gruppo nel contesto ecclesiale, politico e culturale in cui essa si svolse.

 

Anche su quest’ultimo si conta oggi un numero significativo di studi, in larga misura dedicati all’azione diplomatica della Santa Sede, ai pronunciamenti dell’episcopato, al sentimento verso la patria in armi, alla religiosità popolare. Sebbene la storiografia abbia chiarito la necessità di verificare la diversità delle posizioni rispetto a ciascuna fase del conflitto, da un quadro complessivo emerge che il mondo cattolico fu disciplinato nell’obbedire ai doveri della patria ma sostanzialmente tiepido, «agnostico» verso le parole d’ordine del regime, fu contrario al bellicismo fascista, rifiutò l’odio al nemico e la guerra come condizione normale della vita dei popoli, interpretandola piuttosto come il castigo rigeneratore di una civiltà in crisi […]. L’atteggiamento di Pio XII, il principale ispiratore di questa visione, è stato anch’esso analizzato e così lo sviluppo delle iniziative della cultura cattolica durante la guerra.

 

Dagli studi sul contributo dei cattolici alla rinascita democratica e civile del Paese e dalle ricerche, ancora lacunose, sulla storia degli intellettuali dell’Ac appare perciò promettente approfondire le posizioni di Studium per capire meglio come l’editrice e la rivista raccolsero energie, intuirono soluzioni alla crisi bellica, propiziarono contatti e feconde relazioni tra il mondo ecclesiale, politico ed economico, nell’arco di tempo in cui maturò il pensiero di autori e redattori destinati a partecipare da protagonisti alla successiva ricostruzione.

 

Resta sullo sfondo il «Codice di Camaldoli» che, a partire dagli anni Ottanta, ha invece primeggiato nella pubblicistica su questo milieu. è vero che nel volume Per la comunità cristiana vennero convogliate molte risorse del gruppo di Studium. Tuttavia, più per riprendere – in larga misura invano – un discorso comune sui fondamenti morali dell’impegno dei cristiani in politica che per rispondere ad autentici interessi storiografici, il «Codice» è stato un magnete che ha paradossalmente distolto lo sguardo proprio dal sostrato profondo e complesso di valori e di idee, dal fervore di iniziative programmate e realizzate nel lungo periodo, dall’intreccio di fatti e di personalità che lo ispirò e lo rese possibile.

 

Indagando la fase progettuale del lavoro su libri, su collane, su convegni ed articoli, cogliendo sintonie e dissonanze con la cultura del tempo, è possibile verificare come Studium fu capace di incidervi e di costituire un punto d’incontro di libere intelligenze cristiane nelle controverse questioni spirituali e materiali che impegnarono le sentinelle del mondo cattolico tra il crepuscolo del regime, la notte della guerra e l’aurora della liberazione.