La proposta-appello, recentemente lanciata da Claudio Signorile dalle pagine del Corriere del Mezzogiorno, per riscattare la condizione del Mezzogiorno inchiodata ad uno sviluppo civile, sociale, culturale, economico ed anche politico in forte ritardo non solo nei confronti degli altri Territori del Paese ma anche di quasi tutte le Regioni d’Europa, cade in un momento particolarmente felice per raccoglierne l’invito e rilanciarne la sfida che essa implicitamente contiene. Le conseguenze socio-economiche della pandemia provocata dal Covid-19, infatti, avendo determinato prima la istituzione da parte dell’Unione Europea del Recovery fund e poi l’assegnazione all’Italia di un budget di 209 miliardi di euro tra somme a fondo perduto (82 mld) e somme concesse a prestito (127 mld) per la sua rinascita, hanno indotto tutti gli operatori politici e la stessa opinione publica a convincersi che qui ‘o si rifà l’Italia o si muore’.

n particolare, che il Mezzogiorno ha l’opportunità di cambiare la propria condizione se sarà capace di cogliere l’occasione di impiegare la massa di denaro che gli dovrà essere messa a disposizione, anche sulla base delle indicazioni cogenti della Commissione dell’UE, in modo innovativo. Non guardando, cioè, esclusivamente alle situazioni ed ai (presunti) interessi delle singole regioni che lo costituiscono ma avendo la capacità di elaborare un piano complessivo che faccia perno sulla sua centralità mediterranea e si ponga l’obbiettivo di trasformarla in una “grande piattaforma economica e logistica euro-mediterranea”. Non solo. Ma il Sud d’Italia con i suoi più di 20 milioni di cittadini ricchi di una cultura critica politica ed economica può benissimo aspirare ad essere protagonista del suo futuro ed attore non secondario dello sviluppo dell’Italia e dell’Europa in un contesto in cui il Mediterraneo è destinato a diventare sempre più il crocevia non solo dei traffici internazionali ma anche delle comunicazioni intercontinentali.

Dunque, mai come in questo tornante della storia esistono le condizioni per puntare al risanamento ed al rilancio del Mezzogiorno in un quadro non autarchico ma proiettato nel Mediterraneo, nuovo cuore pulsante dell’Europa. Solo che la condizione indispensabile non è, come scrive Signorile nel suo Appello, la federalizzazione delle regioni meridionali “nei poteri e nelle istituzioni” ma la costruzione di una strategia macroregionale, questa sì in grado di unificare “la programmazione e la gestione di almeno il 70% dei fondi comunitari e nazionali, in una progettualità interregionale finalizzata all’armatura infrastrutturale e telematica del territorio” e a tutti gli altri obbiettivi di sviluppo che si dovessero individuare.

La differenza tra queste due modalità può sembrare di poco conto ma non è né meramente terminologica né semplicemente istituzionale. Essa è radicalmente metodologica. Nel senso che se si dovesse perseguire, per realizzare l’unificazione delle regioni meridionali, un’organizzazione federale ciò significherebbe optare per un’operazione secondo un modello strutturale che impone a priori la definizione di nuove figure di potere, di nuovi ruoli operativi, di nuovi spazi di competenza  entro i quali agire. Si dovrebbe, cioè, prima di ogni altra cosa, stabilire chi come e fin dove comanda. Quali sono le nuove gerarchie. E, soprattutto, quali sono i criteri con i quali sono ‘pesati’ e distribuiti i nuovi poteri. Insomma, si creerebbero tutti i presupposti per scatenare, invece di un processo cooperativo e collaborativo tra le istituzioni regionali e soprattutto i loro dirigenti politici, una vera e propria ‘guerra’ istituzionale e personale per conquistare nuove posizioni di potere o per difendere quelle ricoperte che, come è noto, sono la causa che ha trascinato il Sud in fondo alla scala dello sviluppo e del benessere.

Tutt’affatto diverso sarebbe, invece, lo scenario se ci si proponesse di costruire, per definire una grande e nuova configurazione del Mezzogiorno, una strategia macroregionale che, come la stessa denominazione indica, manterrebbe su un piano paritario istituzioni regionali e loro responsabili e soprattutto non creerebbe improprie spinte alla competizione per la conquista di ruoli considerati come centri di potere e non come condizioni funzionali per esercitare le politiche al servizio dei comuni interessi di progresso e di sviluppo delle Comunità. Anzi, proprio questa dimensione funzionale sarebbe una grande novità per l’approccio operativo alle politiche comunitarie. Che così non troverebbero ostacoli strutturali impropri alla loro definizione ed implementazione, aggregando con riferimento a questa macro-area una proposta strategica in grado  di capovolgerne subito il  modo di operare ed in prospettiva il suo destino e di promuoverla a protagonista di una Europa che ritrovi le ragioni della sua unione e della sua missione nel mondo.

Con questo cambiamento di prospettiva, che naturalmente implica una indispensabile correzione di rotta, non c’è dubbio che la proposta di una “Costituente per il Sud” si presenti opportuna e tempestiva e pertanto da sostenere, soprattutto, da parte di chi, come le forze autonomiste, ha a cuore l’avvenire delle proprie Comunità.