Oggi ricorre il diciannovesimo anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle. All’epoca risiedevo a New York ed ero inviata del quotidiano “L’Ora”. Ritengo utile riproporre tre brevi servizi per non dimenticare quel tragico evento, rendere omaggio alle migliaia di vittime e, al tempo stesso, dimostrare come la società sia in grado, pur pagando spesso un alto prezzo, di superare gli ostacoli, anche quelli che al momento potrebbero sembrare insormontabili.

THE DAY e THE DAY AFTER

(New York, 11-12 Settembre 2001)

E’ impressionante vivere New York in queste ore, abituati a camminare tra un traffico intenso, ad osservare molteplici vetrine colorate di negozi aperti all’insegna del business ed a sentire i rumori delle strade affollate, ci si trova immersi in una città diversa: poche auto, negozi, uffici e scuole chiusi, gran parte dei newyorchesi a casa (rispettando la richiesta del sindaco Giuliani), le linee telefoniche periodicamente interrotte, pattuglie di polizia dislocate in tutta la città.

Ancora più inverosimile appare la parte di Manhattan colpita dal disastro di ieri. Attraversando Broadway si sovrappongono immagini del “made in USA del divertimento” con il fumo causato dalle esplosioni e dai crolli, si ascoltano sirene delle ambulanze e della polizia mentre si legge che gli spettacoli serali sono stati cancellati. In questa atmosfera si “respira” l’aria di una sconfitta da parte di uno stato sicuro della sua incolumità. Tra i viali vuoti la gente cammina, curiosa e preoccupata. Alcuni venditori di “burger”, situati lungo le strade, ascoltano ad alto volume la radio, che trasmette in diretta le ultime notizie. I mezzi non circolano ma l’ingegno imprenditoriale di alcuni fa sì che si possa fare dei brevi tragitti tramite un originale piccolo calesse condotto da una bicicletta. Se invece si cerca di prendere un taxi, pochi, la tariffa per circolare in zone attigue all’aerea dei crolli è più alta (circa 40 dollari). Il quadrilatero dove sorgevano le due Torri, cinque anni per costruirle e 90 minuti per distruggerle, è una stratificazione di detriti, il fumo continua a diffondersi in tutta l’area circostante. Sicuramente sotto le macerie ci sono molte persone, forse qualche sopravvissuto. Non è ancora stato stimato il numero delle vittime, l’unica certezza è che saranno molte e, come ha affermato Rudolph Giuliani in una recente conferenza stampa, “qualsiasi cifra sarà maggiore di quella che si potrebbe immaginare”. Neppure gli ospedali diffondono elenchi sulla quantità e le nazionalità dei ricoverati, precisando che il loro lavoro è innanzitutto quello di soccorrere prima di richiedere i documenti. E’ certo che le vittime saranno migliaia e che, fortunatamente, al crollo del building no.7 del World Financial Center, verso le 7.00 di ieri sera, la zona era già stata evacuata in mattinata (50.000 persone che lavoravano nel Centro).

Si parla di una “seconda Pearl Harbour” in cui gli attacchi di ieri alle torri del World Trade Center (il primo un 747 della American Airlines proveniente da Boston e diretto a Los Angeles e il secondo, della stessa compagnia aerea, United 175 da Boston) hanno ucciso un numero elevato di persone. Un esplosione orribile. Una situazione surreale. Osama bin Laden (con riferimento ad un’intercettazione telefonica da parte della U.S.) è uno dei sospettati mandanti dei kamikaze che hanno distrutto il World Trade Center e parte del Pentagono, che in queste ore stanno ulteriormente evacuando per pericolo di nuovi crolli.

George W.Bush ha confermato una azione diretta nei confronti dei responsabili, anche in questo caso non ci sono ancora notizie definitive. Il Presidente Bush ha inoltre promesso che scoprirà i colpevoli, per il bene dell’America, ed ha trovato sostegno in questa affermazione anche da parte dell’opposizione: tutti uniti, anche politici come Freddy Ferrer e Al Sharpton a New York o Tom Daschle e Dick Gephardt a Washington, in una nuova ondata di profondo patriottismo.

Quello che si prospetta è sicuramente un nuovo mondo in cui il modo di vivere degli americani non sarà più lo stesso, lo si percepisce già nella New York di oggi. Cambierà la politica americana. I cambiamenti sono già in atto e con essi la consapevolezza che anche i servizi segreti possono essere scavalcati. 

TRA RABBIA E DESOLAZIONE

(New York, 13 Settembre 2001)

New York ha ricominciato a pulsare, attendendo l’arrivo del Presidente Bush per venerdì. Rimane isolata la zona a rischio e chiusi ponti e collegamenti verso la Manhattan distrutta, dove il pericolo di nuovi crolli non è ancora scomparso. Gran parte dei mezzi di locomozione sono in funzione: si prende coscienza di quanta gente giornalmente entra ed esce dal cuore della City. L’efficienza dei servizi e dei soccorsi, supportata da moltissimi volontari, rende l’idea di quella che per eccellenza è una città di operosità continua ed inesauribile. New York non può fermarsi. New York, come ha affermato la Senatrice Hillary Clinton, è l’America. E vivendo l’America si capisce che dopo il caos ci sarà una sorta di rappresaglia, veloce, immediata. Si aspettano giorni difficili: “non desideriamo la guerra ma questo problema deve esser risolto” e “porteremo il mondo a vincere”, afferma George Bush, con la solidarietà e l’appoggio anche dei Democratici.

Mentre la Grande Mela inizia a riappropriarsi della propria immagine-dimensione, a Washington si lavora per identificare i terroristi suicidi ed i loro mandanti. Il Governo, con le dichiarazioni del portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale Sean McCormack, pone in evidenza che tra gli obiettivi figuravano la residenza del Presidente (“l’aereo che ha colpito il Pentagono si stava dirigendo verso la Casa Bianca”) e l’aviazione presidenziale Air Force One. Le informazioni a riguardo sono date dal segretario di Giustizia John Ashcroft, che tra l’altro informa “alcuni sospetti arrestati sono entrati negli Stati Uniti come piloti”, e dal direttore del FBI Robert Mueller. 

7.000 investigatori, 4.000 agenti specializzati, 3.000 membri del personale e 400 esperti in analisi di laboratorio del FBI, sono stati inviati nella scena di New York. 

I terroristi hanno scelto un giorno speciale per la città delle “ex” torri gemelle, il giorno in cui si dovevano celebrare le primarie, per ora annullate, del sindaco. La difficile situazione è stata superata con razionalità e coordinamento da tutte le forze politiche, coscienti che questa tragedia presenterà un nuovo volto di New York. Tutto il mondo vivrà una nuova dimensione, ed ancora una volta gli Stati Uniti assumono la paternità dei grandi mutamenti sociali, economici e politici. Ciò che riappare, anche in questa paradossale situazione, è che l’America non si può dividere: razza, religione, lingua, stato sociale, (una sorta di “arcobaleno” di cultura) nulla può dividere il senso di “essere americani”. E’ questo il segreto della democrazia degli Stati Uniti, leader di un mondo unipolare, superpotenza economica, militare e tecnologica, attaccata in modo brutale. La guerra in atto, perché di questo si tratta, è una guerra nuova (l’84% degli americani appoggia una eventuale azione militare contro Paesi responsabili), allineata con i nuovi mezzi di comunicazione (nuova tecnologia e internet). Cambierà la politica estera di questa Nazione, che proteggerà Israele e guarderà con occhi diversi il Medio Oriente, anche tutto questo si percepisce in questi giorni negli USA. Si potrà mai comparare questa tragedia con altre nel mondo e sapremo mai quanta gente è veramente morta e quanti danni “materiali” ci sono stati? Forse il sistema capitalistico stava esagerando? 

La storia moderna degli Stati Uniti sarà segnata dal settembre 2001. Le grandi partecipazioni militari precedenti, le due guerre mondiali, Vietnam e Golfo Persico, sono state vissute in un modo differente. Oggi è cambiato il campo di battaglia, che è completamente nuovo. I gruppi fondamentalisti più radicali sanno di essere riusciti a superare il potere militare degli USA, utilizzando una particolare arma: l’attacco suicida. Oggi giorno gli Stati Uniti sono visti come un Paese vulnerabile, non sono riusciti, come nel 1993 quando ci fu un esplosione nello stesso World Trade Center, a bloccare l’atto terroristico. Ma nonostante ciò, sicuramente se ci dovessero essere nuovi attacchi sarebbero indirizzati altrove perché, e non solo, la macchina di alta difesa americana si è messa in moto.

Ora dopo ora, ascoltando gli interventi delle rappresentanza politiche americane (il sindaco Giuliani, il governatore Pataki, la senatrice Clinton e tutto il Governo), si rafforzano queste impressioni.

HA VISTO CON I SUOI OCCHI LA TRAGEDIA

(intervista a Lucio Caputo, New York 13 Settembre 2001)

In una delle due torri crollate si trovavano gli uffici dell’Italian Wine and Food Institute dirette da Lucio Caputo. La sua apparente freddezza, manifesta nella sua testimonianza, in realtà è il comportamento di una persona, casualmente nata sotto il segno dei gemelli, che pone in equilibrio l’aspetto emozionale con quello razionale. Un manager abituato a vivere sotto pressione, a viaggiare moltissimo, ad affrontare questioni da risolvere e mediare incontri tra persone con caratteri diversi e con obiettivi a volte divergenti. “Una volta ero timido, emotivo, poi sono cambiato. Il cervello e la razionalità deve controllare le emozioni”, questo afferma Caputo, che in questa circostanza non ha certamente dimostrato l’aspetto impulsivo della sua origine siciliana, e questo si impara vivendo New York.

Ecco la sua testimonianza.

Destino, coincidenza, caso?

Io penso sia destino.

Cos’è successo?

Ero appena uscito dal club che era collocato negli ultimi piani, dove mi trovavo fino le 8.30. Alle 9.30 ho ricevuto in ufficio una telefonata di un mio amico e dopo poco tempo ho sentito un forte scoppio. Le pareti si sono spostate di circa 2 metri a destra e 2 metri a sinistra e si è mosso lo specchio. In un secondo era tutto coperto di fumo e fuori c’era una scena di panico. C’era enorme polvere dovunque. Pensavo che lo scoppio provenisse da qualche ufficio vicino, pensavo ad una esplosione localizzata. L’aereo è invece entrato tre piani sopra il mio……… se fossi rimasto più a lungo al club non sarei potuto scendere……….

Pensavo fosse qualche cosa di grave ma mai avrei immaginato…… ho pensato razionalmente a cosa poteva essere successo. A quel punto mi ha telefonato il mio amico Massimo e mi ha detto “Lucio corri, corri”. Ho iniziato a correre come un pazzo. Al cinquantesimo piano per alcuni minuti sono rimasto bloccato. Ho visto uno ad uno i pompieri, che poi sono morti, una donna che sembrava una patata pelata. Un vero dramma. Io correvo, correvo come un pazzo. Al ventitreesimo piano mi sono trovato nuovamente bloccato, sono riuscito a superare anche questo blocco e sono arrivato sotto al building. Avevo pensato di prendere la mia auto, che si trovava nel parcheggio, ma un poliziotto mi ha detto che era meglio che mi allontanassi.

Avevi immaginato cosa stava in realtà accadendo?

Ho visto tutto con estrema razionalità. Capivo che era successo qualche cosa di molto grave e che io dovevo fuggire. Pensavo ad un aereo di turismo oppure ad un aereo kamikaze pieno di esplosivo. Tutta la gente del palazzo era sotto shock.

Che sentimento hai provato appena hai razionalizzato cosa stava accadendo e da cosa eri fuggito?

Rabbia per i pazzi che hanno causato l’attentato, rabbia e dolore per le vittime perse. Dal punto di vista personale ricordo tutto ciò che ho lasciato nel mio ufficio e che è andato distrutto: ricordi, diplomi, regali, tutta la mia vita persa.

Mentre correvi eri sotto shock?

Non ero sotto shock. Nella corsa mi ha aiutato moltissimo il fatto che io faccio abitualmente sport. Ho perso chili di sudore.

E poi….

Pensa, dopo l’incidente sono corso a casa, mi sono cambiato e mi sono recato al ristorante Le Cirque, doveva avevo un impegno per colazione che ho rispettato. Gli altri non sono venuti. Lavorando, mi capita spesso di essere sotto pressione, quindi non sono stato preso dal panico. Come sempre, ho visto quello che dovevo cercare di fare e l’ho fatto…. Applico la razionalità anche nelle situazioni positive. Se mi dicessero che ho vinto 200 milioni di dollari chiederei dove potrei ritirarli e non dimostrerei la mia felicità per la vincita apertamente.

Ed ora?     

Non cambio niente. Ripartirò, forse anche perché sono un fatalista, lo sono sempre stato. Quando dovrò morire, morirò. Fino allora mi goderò la vita, come ho fatto fino ad ora e continuerò il mio lavoro. Avrò un nuovo ufficio e porterò avanti il mio lavoro.

Ringraziamo la sua corsa affannata e il suo ….destino.

ASCOLTARE ED ATTENDERE

(New York, 14 settembre 2001)

A Washington, alla messa di commemorazione per le vittime, sono intervenute tutte le rappresentanze. Mentre a New York, nonostante il brutto tempo, infatti continua a piovere, il lavoro dei soccorritori procede. Sono ancora alti i livelli di allerta terrorismo, soprattutto dopo l’arresto di dieci sospetti agli aeroporti LaGuardia e JFK, ed alcune misure di sicurezza sono state ripristinate per l’arrivo del Presidente George Bush. Le elezioni primarie per il Consiglio comunale della città sono state fissate per il 25 settembre e, se necessario, slitteranno all’11 ottobre. Tutti i candidati sanno che fino ad allora sarà quasi impossibile attuare una tranquilla campagna elettorale. Tra essi anche il Democratico Peter Vallone, che in questi giorni, in qualità di City Council speaker, ha spesso accompagnato Rudolph Giuliani (che ha affermato “questo è uno degli atti più atroci della storia del mondo”) durante molte apparizioni, in occasione dell’attacco.

Controlli ed ancora controlli. 

Gran parte dei giornali locali riportano oggi una serie di immagini di persone scomparse o elenchi e foto di persone sicuramente morte, a causa del disastroso crollo. E in questo clima, bombardati, anche, dai mass media e con la consapevolezza che Osama bin Laden è il mandante, forse non unico, dell’atto omicida, è strana la sensazione che si prova attraversando la città e notando persone sospette. Mi riferisco soprattutto a persone appartenenti al popolo musulmano. Sembra quasi che essi stessi siano coscienti che chi li osserva si chiede, inconsapevolmente, se “lui” potrebbe essere un terrorista: una sorta di psicosi dell’attentato, possibile dovunque ed in qualunque momento. Paradossale, poichè anche un norvegese potrebbe, da simpatizzante, operare con gruppi islamici estremisti, ma reale!

Osama bin Laden…., colui che ha orchestrato tutto questo grazie al suo patrimonio (oggi giorno non si fanno le guerre senza denaro), colui che Bush vuole colpire, direttamente e solamente. Da poco il Senato ha deciso: Bush potrà agire anche con la forza. Quanto bene si farà nell’uccidere bin Laden se le sue associazioni, società finanziarie e network resteranno intatte? Il suo messaggio rivolto ai musulmani per unirsi in questa, a suo avviso, guerra santa non si fermerà con la sua morte. Tutti qui in America hanno capito anche questo, lo si intuisce osservando i volti degli speaker o dei portavoce o di coloro che decidono: tensione e sofferenza. Il “pulsante” dei rancori è stato premuto e l’America non può non mantenere il ruolo della prima potenza al mondo. Molti americani hanno ascoltato le preghiere di oggi del Presidente Bush e molti altri il “tuonare” la sua vendetta. Si intuiscono le molte cose che questo Paese deve fare, ci si chiede che cosa e come, senza fare errori e con un occhio puntato al passato. Intanto, i rappresentanti di questa Nazione cantano assieme per “lo spirito d’America”. E mentre in America e qui a New York piove, bin Laden con abilità si sta, secondo recenti notizie, spostando da un luogo all’altro. Lo può fare con estrema disinvoltura, a quanto pare. Ha molti seguaci, ha molti soldi e forse ha, conseguentemente, sufficienti aiuti. La sua organizzazione, al-Qaeda, opera dislocata in diverse unità nel mondo, si possono includere, probabilmente, Afghanistan, Pakistan, Tunisia, Sudan, Egitto. Riferendoci a queste cellule-unità di bin Laden si può parlare di guerra mondiale (non dimenticando altri fronti di Liberazione estremisti). Insomma, un aspetto dell’impero capitalistico -capitale di bin Laden- ha colpito il rovescio della medaglia dello stesso impero -economia americana-occidentale-. Questo è quello che fa riflettere, mentre si continua a scavare tra macerie che difficilmente restituiranno corpi riconoscibili o identificabili. Migliaia di persone morte perchè erano, comunque, americane; quegli americani (tra l’altro il Ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres ha affermato martedì “stanotte, tutti gli israeliani sono americani”) che bin Laden vuole colpire assieme ai loro concetti di democrazia, libertà e modernità. Concetti appoggiati, velocemente (forse troppo), da nazioni occidentali e non, che hanno subito offerto il loro sostegno. Anche in questo caso, ricordando la storia, l’esperienza insegna che con uguale rapidità gli stessi supporti potrebbero essere tolti. “America’s new war”, come sottolinea il titolo fisso delle trasmissioni odierne di CNN Live. L’America deve riconsiderare la propria politica e la collaborazione con Paesi democratici e non democratici del mondo, mi riferisco in particolare al Medio Oriente.

Nel frattempo giunge la notizia che l’aeroporto di Washington è stato richiuso con termine indefinito. Non ci sono, invece, ancora notizie sulla documentazione, importantissima, ritrovata tra i resti degli aerei dirottati. Sono le 2.20 del pomeriggio: le notizie arrivano lentamente e vengono diffuse con cautela. Il Presidente Bush ha da poco lasciato Washington e sta arrivando nella City. Si renderà personalmente conto della gravità della situazione. Si potranno ricostruire i palazzi di New York ma non si potrà, in così breve tempo, ricostruire il capitale umano che lavorava all’interno di quei grattacieli. Molti familiari ed amici, con foto in mano, vagano attorno alla zona delimitata alla ricerca di qualche speranza. Ciò avviene anche se le autorità di New York hanno avvisato che chiunque oggi si trovi nella zona delimitata senza motivo e permesso verrà arrestato. 

Vedendo tanti morti è immediato il desiderio di vendetta: rispondere alla morte con la morte. Mi auguro che Bush, osservando ciò che è rimasto, ricordi la frase pronunciata stamattina “la nostra è una nazione pacifica”.

In questa continua allerta, il Consolato Generale di Italia a New York è attivo 24 ore al giorno. Ci sono molti turisti italiani bloccati negli USA e i collegamenti aerei tra Stati Uniti e resto del mondo subiranno grandi restrizioni. La domanda di molti giornalisti è quasi sempre la stessa: ci sono morti italiani? Per ora solo alcuni dispersi, mentre tutto lo staff di rappresentanza italiana a NY lavora senza sosta. Per chi c’è e per chi non c’è.

Tra alcune ore, tutta New York ascolterà Bush ed attenderà, a breve, la risposta all’interrogativo più frequente: cosa succederà? Ascolterò ed attenderò anch’io.