Siamo consapevoli che la crisi di governo, esplosa all’improvviso e con un carico di avventura partigiana, riporti alle ragioni – mai sufficientemente approfondite – che nelle elezioni dello scorso anno (4 marzo 2018) hanno determinato la rottura clamorosa di un equilibrio politico a lungo preservato o incoraggiato dal sistema maggioritario, quindi dal forzato adeguamento al bipolarismo.

Bisogna approfondire, per non accontentarsi del giudizio superficiale, la tormentata vicenda della mozione di sfiducia. L’anomalia, in questo caso, non è data dalla frattura in sé, ultimo atto di un’impervia collaborazione tra Lega e M5S; ma dalla costituzione, a prescindere dal mandato popolare, di un’intesa senza basi programmatiche adeguate, per la quale due partiti antagonisti, in aperto conflitto prima e durante la campagna elettorale, hanno tuttavia convenuto di approntare una maggioranza parlamentare artificiale, unità dal collante del potere.

Ha prevalso dunque la logica di una convergenza casuale, come per attrazione di poli estremi e per similitudine di accenti anti-sistema, tali da evocare ambigue e spericolate teorie sulla fuoriuscita dall’Euro o sul distacco dall’Europa, in coincidenza con gli interessi e le aspirazioni di potenze straniere, da sempre ostili al rafforzamento dell’Unione.

Salvini non apre la crisi per ricomporre un disegno di governabilità su basi più razionali, mirando cioè al superamento delle distorsioni e degli eccessi negativi del connubio gialloverde. La apre, semmai, con un sovrappiù di aggressività, denunciando le insufficienze operative dell’esecutivo e invocando, come risposta alle difficoltà, il conferimento dei pieni poteri. Le elezioni avrebbero – questo il messaggio affidato alla propaganda –  il significato di un plebiscito pro o contro l’istanza neo-autoritaria della Lega: più  comando (personale) in cambio di più sicurezza (collettiva).

Invece, tenuta a freno la tentazione di un ricorso anticipato al voto, equivalente ad una battaglia campale senza nemmeno la possibilità di identificare e proporre in breve tempo le motivazioni di una alternativa, questa crisi deve aprire la strada a una fase intermedia di decantazione, per utilizzare la tregua ai fini di una necessaria ricomposizione civile e politica del Paese.

Occorre ricostruire la fiducia – in effetti le politiche del 4 marzo 2018 ne hanno sancito la rottura – tra popolo e istituzioni, riattivando energicamente la leva di un’autentica, rinnovata strategia europeistica, intesa come largo orizzonte sovranazionale di sviluppo e di pace, senza con ciò rinunciare a modificare, laddove giusto e necessario, le forme che hanno garantito lungo vari decenni il processo di allargamento e integrazione della originaria Comunità di Stati nazionali.

Ora, le forze politiche che proprio in Europa hanno concorso alla elezione di David Sassoli a Presidente del Parlamento e all’approvazione della nomina di Ursula Von der Leyen alla guida della Commissione, sono in condizione e perciò hanno il dovere di adempiere in Italia a uno sforzo di analoga convergenza, per collaborare alla definizione concreta, in spirito di responsabilità verso le istituzione e verso i cittadini, di quello che le associazioni cattoliche firmatarie di un recente documento (https://ildomaniditalia.eu/chiediamo-una-tregua-di-ricomposizione-morale-e-civile-del-paese/amp/?__twitter_impression=true) hanno appunto chiamato il governo di tregua, ovvero di tregua operosa.

Non è, questa, una premessa che sancisca di per sé l’uscita immediata dalla condizione di disordine e conflittualità, affidandosi magari a un generico accordo di programma e quindi autorizzando le critiche all’«inciucio»; essa piuttosto, come premessa, rappresenta (o deve rappresentare) il punto di rilancio di una iniziativa democratica, chiusa nettamente a destra, capace di trascinare le componenti della futura maggioranza sul terreno di una positiva dialettica di cooperazione e competizione, per ridare coerenza spessore e concretezza alla lotta politica in Italia.

Ciò non significa, in sostanza, che il futuro governo debba prevedere la partecipazione di tutte le diverse componenti, partiti grandi e piccoli, forse essendo preferibile che la tregua si organizzi attorno a una combinazione di valore tecnico-politico, imperniata sulla responsabilizzazione del gruppo parlamentare (M5S) di gran lunga prevalente. Ci sarebbe quindi, secondo questo schema, un recupero di assoluta centralità del Parlamento, data la forza di indirizzo e di controllo che avrebbe la maggioranza in quanto tale, nelle Aule di Camera e Senato, nello svolgimento dell’attività ordinaria e straordinaria dell’Esecutivo. Non sarebbe affatto una soluzione di ripiego perché, anzi, un Parlamento rinvigorito nelle sue funzioni costituzionali e un governo rispettoso della volontà espressa dalla sua maggioranza potrebbero rappresentare l’architrave – l’unico realisticamente verificabile ora – di questa auspicabile e indispensabile fase di tregua.

La durata dell’Esecutivo sarebbe calibrata, in questo caso, sulla effettiva volontà e capacità di portare avanti un disegno di riordino politico, mettendo in sicurezza i conti dello Stato, aggredendo il nodo dell’efficenza del sistema produttivo, rilanciando investimenti e occupazione, specialmente al Sud, innescando provvedimenti virtuosi sul piano della solidarietà e della coesione sociale, anche nella gestione dei flussi immigratori, piegando la curva del declino strutturalmente legato alla grave questione demografica,  affrontando con razionalità le questioni dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, restituendo dignità e giusta reputazione, infine, al ruolo dell’Italia nel Mediterraneo e nel mondo, secondo le linee delle storiche e consolidate alleanze di politica internazionali.

Uno sforzo consapevole, fatto di rinunce reciproche e comune impegno in funzione dei superiori interessi della nazione, da cui può scaturire il riordino di un sistema politico nel quale identificare in prospettiva la presenza autonoma di un centro democratico e popolare, darebbe intanto più serenità alla valutazione che il Presidente della Repubblica, arbitro della crisi, svilupperà nel corso delle verifiche di rito, di sicuro esercitando la sua azione con la saggezza e l’equilibrio sempre pienamente riconosciuti dalla pubblica opinione.

Il momento è delicato, dunque richiede generosità e lungimiranza. L’Italia non merita di scivolare nel pantano di una politica ostica e pregiudiziale, a perenne intonazione demagogica. L’alternativa democratica è possibile.