Secondo gli esperti di politica internazionale il clamoroso e imprevisto exploit di Putin, con il quale il Presidente del Parlamento europeo David Sassoli è stato (insieme ad altri) bollato come «persona non grata» – ovvero, tradotto dal latino della diplomazia, «persona non gradita» – non è un segno di potenza e sicurezza del Cremlino, bensì un attestato d’incertezza e fragilità. Putin reagisce in maniera scomposta alle dichiarazioni della comunità politica euro-atlantica in difesa dei diritti umani (caso Navalny) e per l’integrità territoriale dell’Ucraina. 

In realtà, Mosca non si è mai mostrata amica dell’Europa a vocazione comunitaria, aperta cioè al processo di graduale integrazione sovranazionale. Il passato pesa ancora a dispetto degli ingenui svolazzamenti sulla fine della storia. D’altronde, nel lungo periodo della guerra fredda, il regime sovietico aveva sempre scommesso sulla prospettiva di un Continente destinato a contribuire alla pace tra i popoli in virtù della sua neutralità, fuori perciò dal sistema di alleanze della Nato. Le due Germania, rigorosamente divise, dovevano costituire il nucleo principale di una grande area geografica, forte economicamente e debole politicamente. Il crollo del Muro di Berlino ha cambiato tutto. Oggi però, finito il regime sovietico, la nuova Russia non si allontana dalla sua tradizionale linea di seduzione e avversione nei riguardi dell’Europa, per giunta di un’Europa che mira ad irrobustire la sua unità e a consolidare, al tempo stesso, la collaborazione con gli Stati Uniti.

Putin ha giocato una carta che ha messo in allarme mezzo mondo. Alla resa dei conti lo smacco inferto ai più alti rappresentanti delle istituzioni europee ha determinato la ferma condanna delle capitali di quell’Occidente democratico, spesso descritto come terra del declino irreversibile, che pur si nutre di principi e valori incompatibili con l’arbitrio della forza e lo sfoggio di potenza. Molto dipende, senza dubbio, dall’impulso che viene dall’America di Biden. C’è una demarcazione che non può essere cancellata tra libertà e autocrazia, benché serva comunque, anche nei momenti di maggiore incomprensione nei rapporti internazionali, la costante ricerca del dialogo.

Ora, il dialogo non deve prescindere dalla corretta rappresentazione del proprio punto di vista. Gli italiani sono coinvolti apertamente in questa vicenda complicata e delicata, che vede sul proscenio della battaglia diplomatica tra Bruxelles e Mosca l’«italiano» Sassoli. Sarebbe interessante, a tal proposito, adombrare l’idea di una comune visione di ciò che vale o deve valere oltre i confini nazionali, proprio facendo leva sugli «italici» di cui parla a giusto titolo, da qualche tempo a questa parte, un politico d’eccezione quale Piero Bassetti. Loro, i tanto numerosi «italici» che popolano la comunità-mondo, possono identificarsi nei potenziali attori di una iniziativa, certo simbolica ma non per questo superflua, volta significativamente ad attribuire la qualifica di «persona grata» al Presidente del Parlamento europeo.

In questo modo, allo sgarbo di Putin farebbe seguito il pacifico «squillo di tromba» di una comunità di 300 milioni di persone, quante ne conta in effetti la rete delle diverse e stratificate generazioni di nostri connazionali, pure in concorde afflato di sentimenti con estimatori e amici della cosiddetta «civiltà italica». Di questo messaggio, bisognoso di opportuni approfondimenti, non possono farsi promotori i membri della giovane Associazione «Svegliamoci Italici»? Non è detto che provarci sia una indebita illusione. Male che vada, dopo aver gettato il seme, qualcosa di sicuro nascerà.