Personalismi, opportunismi e nuova politica. Risposta a Frascatore e Bonalberti.

 

 

L’autore, chiedendo ospitalità al nostro giornale, contesta le tesi – per altro divergenti – di Paolo Frascatore (contrario alla nuova Dc) ed Ettore Bonalberti (contrariato per la mancata costruzione di un nuovo partito di centro), presentate ieri su queste pagine. Dal punto di vista di Rapisarda la riorganizzazione della Dc è in corso, sta avendo i suoi riscontri positivi e per questo merita rispetto ed attenzione. Ora, pur nello spirito di apertura a un confronto anche esigente e complesso, la redazione de “Il Domani d’Italia” considera – per chiarezza – la posizione di Frascatore come la più realistica, benché essa stessa bisognosa di maggiori e più concreti sviluppi per non essere risucchiata nel vagheggiamento di aspettative incongrue.

 

Luigi Rapisarda

 

È da tempo che discutiamo su come riproporre in politica quel florilegio di valori e di ideali che ispirarono l’azione politica della Democrazia Cristiana e che seppero dare impulso ad un’esperienza di governo lunga cinquant’anni. Una sfida ambiziosa che ha visto, in questi quasi trent’anni, dall’uscita di scena del partito, con la scelta di Mino Martinazzoli di dargli nuova identità, una classe dirigente vagare alla mercé di forze politiche che non sono riusciti ad offrire una sintesi accettabile con parte di quel patrimonio di valori di cui la Dc seppe essere espressione. Fu certamente una scelta affrettata, voler chiudere un’esperienza di così grande spessore, al di là di tutte le concause che in quei tormentati primi anni novanta agirono su questa decisione. Ovviamente non poté dissolvere quel prezioso radicamento, nel corpo vivo di tante coscienze, espressione di un progetto di paese che aveva al centro la persona e la sua dignità, funzione diretta e vicendevole al benessere comune, in una visione di piena attuazione del principio di solidarietà.

 

È bastato il tenore di una statuizione giudiziale, con pronuncia definitiva della Cassazione nel 2010, con cui si riconobbe che “la Dc non si è mai ritualmente sciolta”, perché quel fermento di ideali, non sopiti, potessero affiorare con tutta la loro forza. Certo il cammino non è stato agevole, proprio perché c’era da salvaguardare una conformità piena ai dettami statutari, mettendo al riparo l’azione riorganizzatrice dai tanti tentativi personalistici che si sono affiancati al processo ricostruttivo, tutt’ora in atto. Un processo che ha consentito una prima rilevante presenza nelle istituzioni locali in queste recenti elezioni amministrative. Con una risposta assai incoraggiante, soprattutto in quella terra dove furono delineati i contorni identitari con il prezioso apporto di Don Sturzo, De Gasperi e Giuseppe Alessi, con cui si seppe dare, ad un territorio martoriato da una guerra che aveva lasciato in tutta la penisola, devastazione, nei territori e nelle coscienze, una efficace risposta nella poderosa opera ricostruttiva del paese.

 

È in questa luce che non può che apparire semplicistica e poco rispettosa di una sfida certamente assai difficile, la considerazione di Paolo Frascatore su “Il Domani d’Italia” di ieri, che dopo aver esordito con l’impietoso titolo: “Rifare la Dc è fuori dalla storia”, prosegue affermando: “…Non è più tempo né di personalismi, né di utilitaristiche sigle e simboli per accaparrarsi qualche seggio nelle competizioni amministrative. Bisogna uscire allo scoperto. Zaccagnini direbbe in campo aperto” per proporre un nuovo modo di intendere e di fare politica”. Una posizione che non convince perché trova poi nel prosieguo del suo ragionamento una palese incoerenza.

 

Se da una parte può anche apparire fondata la considerazione che ogni storia politica difficilmente può riproporsi perché espressione di una contestualità che il progredire sociale e civile di una comunità non consente di riprodurre allo stesso modo, è la considerazione che Egli ritenga ineludibile che ci si prodighi nel rilancio di una forza di centro, che rende il ragionamento poco credibile. Sia nei termini di una compatibilità di questo tipo di iniziativa politica con l’attuale scenario delle forze politiche in campo. Sia nei termini in cui, nell’ipotesi dell’autore, un tale auspicato processo aggregativo non fa che presupporre, come requisito credibile, un partito che abbia un dna di centro, che esprima valori cattolici e democratici.

 

Ora se escludiamo quelle forze politiche che in questo momento gravitano in un orbita assai ondivaga tra centro e sinistra, tutte espressione di una cultura riformista, pur se all’interno non mancano esponenti formatisi nei ranghi delle scuole di partito della Democrazia Cristiana, gli europeisti radicali che fanno scuola a sé, e Forza Italia che si è oramai avvitata su un percorso velleitario tra utopia del Quirinale e subalternità ai sovranisti, quale altra forza di centro credibile può esserci rappresentativa di valori e ideali cattolici e popolari? D’altronde l’Udc, oramai in piena desertificazione, mentre da una parte boicotta il processo di Federazione dei democristiani e popolari, in fase di stallo da quasi due anni, si è titolata a fare da caudataria alle posizioni sovraniste, escludendosi da sola da ogni coprotagonismo credibile nel segno di un’idea di centro autonomo, relegandosi in un marginalismo personalista ed inconcludente che Frascatore tanto addebita alla nuova Dc.

 

Ecco perché quel cammino intrapreso da un gruppo di coraggiosi promotori di dare riedizione all’unico partito che seppe mirabilmente mediare tra le tre matrici di pensiero senza traumi e derive populiste e sovraniste, facendo argine ad un blocco comunista assai temibile, anziché essere bollato di opportunismo andrebbe incoraggiato e sostenuto da tutta quell’area che oggi è dispersa in una costellazione di associazioni e movimenti. Un partito che si richiami al pensiero di Sturzo e si faccia portavoce delle forti disuguaglianze sociali che si sono sempre più incardinate e di una transizione ecologica nel segno di un reale Umanesimo integrale, non si può inventare di sana pianta, perché cadrebbe, sì, in quella trappola di “personalismo ed opportunismo” che Frascatore invece paventa come vizio congenito al processo in atto di ricostruzione di una nuova Dc.

 

Mentre non si coglie che quel processo ricostruttivo risponde ad una coscienza popolare che non ha mai abbandonato quegli  ideali che trovarono espressione nella Dc. Una realtà che le consultazioni elettorali, soprattutto in Sicilia, grazie ad una risposta politica seria e coerente, hanno fatto riemergere. Ora se forza di centro vuol dire progetto politico che riaffermi con determinazione i valori fondamentali che la Carta costituzionale ha sancito, nella virtuosa sintesi tra le culture cattoliche, liberali e riformiste, vuol dire allora che si debba saper elaborare e proporre un progetto politico che riporti coesione sociale superando l’aspra contrapposizione tra i ceti che ha caratterizzato, anche per effetto di una politica sempre più estremizzata negli obiettivi, questi due decenni di governance del paese.

 

Ed è impressionante come già negli anni venti del secolo scorso, in un articolo pubblicato sul “Popolo nuovo” il 26 agosto del 1923, dal titolo: “Il nostro centrismo”, don Luigi Sturzo disegnasse la sua magistrale idea di centro: “..Spieghiamo allora cosa intendiamo per centrismo. Per noi il centrismo è lo stesso che popolarismo, in quanto il nostro programma è un programma temperato e non estremo: – siamo democratici, ma escludiamo le esagerazioni dei demagoghi; – vogliamo la libertà, ma non cediamo alla tentazione di volere la licenza; – ammettiamo l’autorità statale, ma neghiamo la dittatura, anche in nome della nazione; – rispettiamo la proprietà privata, ma ne proclamiamo la funzione sociale; – vogliamo rispettati e sviluppati i fattori di vita nazionale, ma neghiamo l’imperialismo nazionalista; e così via, dal primo all’ultimo punto dei nostro programma ogni affermazione non è mai assoluta ma relativa, non è per sé stante ma condizionata, non arriva agli estremi ma tiene la via del centro”.

 

Vien da chiedersi allora quale solidità può avere la tesi di Frascatore che, a fronte di un idea di centro, tanto enfatizzata, quanto poco chiara, per l’estrema genericità dei suoi contorni, ci propone il paradosso che: ”..Anzi, proprio la fine della Dc è foriera di posizioni politiche più articolate, anche se meno consistenti dal punto di vista elettorale, che possono continuare non una tradizione (che non interessa a nessuno), ma una proposta politica seria ed alternativa rispetto agli attuali attori in campo.mRipartire, cioè, dal Partito Popolare di don Luigi Sturzo, dai programmi come base sia di consenso, sia di alleanze politiche”.”..Occorre, però, il coraggio, il sapersi organizzare, la diffusione ideale, il saper interpretare i nuovi bisogni della società contemporanea”. Parole vuote senza un sostrato concreto.

 

Vien da chiedersi se questo quadro prospettico sia solo un gioco di cogitazione accademica o se si sia perso il senso delle dinamiche politiche che sono alla base della nascita dei movimenti e delle realtà di partito. Una forza politica non si inventa e non può nascere così e semplicemente dalla testa di Giove. Un partito è il frutto di un processo reale e concreto che parte da un lavoro nel territorio, dalla giusta risposta che si propone, da un’idea di paese alle dinamiche sociali e civili avvertite da un corpo sociale. Ed è proprio la domanda che viene dal paese, con il forte astensionismo e la scarsa credibilità di queste forze politiche,  che rende doverosamente ineludibile recuperare la coerenza e la lungimiranza di quel patrimonio di ideali e di valori, che non temono nessuna obsolescenza, anzi, in grado, invece, di dare valore aggiunto alle risposte che il contesto socio-economico e politico-istituzionale richiede da tempo.

 

Pur senza rifuggire dall’idea di convergenze con le altre forze politiche, a cominciare da quelle che esprimono maggiori sensibilità centriste, sulla comunanza di tante tematiche che trovano risposte inadeguate, difficilmente può rivelarsi praticabile, il percorso cui sembra affiancarsi anche l’amico Bonalberti sulle stesse pagine (di ieri, ndr) de “Il Domani d’Italia”, quando afferma: “…indispensabile concorrere alla costruzione di un centro ampio che…potrebbe assumere i connotati di un centro laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, transnazionale… Senza la pretesa di salvifici federatori sedicenti a priori, ma lasciando al campo aperto della politica e del confronto democratico la decisione su chi potrà assumersi lonere e lonore di guidare il progetto, credo che insieme a Mastella e a Calenda, anche gli amici di Rotondi e dei Verdi disponibili, così come agli amici di Forza Italia delusi dal mantenere un ruolo subordinato alla destra della Meloni e di Salvini: Carfagna, Gelmini, Brunetta, con quelli di Matteo Renzi, si potrebbe concorrere con tutti gli amici dellarea DC e popolare alla costruzione di una grande centro”.

 

Ma inerpicarsi in un percorso di alleanze organiche e federative, con forze così eterogenee, nei metodi, nei contenuti e negli obiettivi di medio e lungo periodo, senza aver acquisito una forza rappresentativa consistente, vuol dire: frequenti conflitti interni, spinte e controspinte che finirebbero per far deflagrare tutto, come è successo con la Margherita e poi con l’esperienza governativa dell’Ulivo, ed avrebbe il sapore di una presa in giro degli elettori e poi di quanti si rendono protagonisti di questo disegno incauto. Un panorama simile si sta consumando nella coalizione di centrodestra, dove il ribaltamento, in termini di peso elettorale di Berlusconi, ha finito per mettere il suo partito al traino dei populisti e dei sovranisti. Come a sinistra dove, pur con la recente vittoria in diverse parti dei territori comunali del Pd, non sembra trovare la giusta strada la vagheggiata alleanza con i 5 stelle. Il fatto è che le condizioni in cui si dibatte il paese non consentono simili avventure. Meglio guardare avanti nella prospettiva di costruire una forza politica che, ripartendo dalle sue radici, riaccenda una speranza di futuro, nel segno di uno sviluppo equo e sostenibile