PNRR, più attenzione alla cultura “di prossimità”.

Il rischio è che il nostro Paese finisca per perdere una delle sue filiere produttive e identitarie più importanti. Per evitarlo, urge presentare un piano nazionale di organizzazione del consumo culturale e di finanziamento della sua attività produttiva, nonché tutela e conservazione del patrimonio.

Una recente iniziativa di Roma Capitale ha riscosso un inaspettato successo: ottomila carnet di biglietti per ingressi al cinema e a teatro sono andati esauriti in pochi gironi. Il sito web di Roma Cultura è andato più volte in tilt per i numerosi accessi. Nel silenzio e nellindifferenza generale del cosiddetto mondo della cultura, iniziative come questa rappresentano senzaltro un buon segnale.

La cultura vive infatti del rapporto unico e originale che si crea tra chi produce e chi consuma. Un quadro visto sullo schermo del PC, uno spettacolo teatrale fruito in tv, un concerto per pianoforte ascoltato su Youtube: tutto utile, ma anche abbastanza freddo. Il lavoro culturale ha invece bisogno del calore della fruizione collettiva. Per questo motivo bisogna difenderne oggi più che mai il valore.

Nel 1941, lanno dellentrata in guerra degli Stati Uniti, il Presidente Roosevelt registrò una delle sue conversazioni radiofoniche dedicandola al cinema e al suo valore economico, sociale e civile. E nellambito del New Deal la cultura rappresentò un pilastro importante. Lo scorso mese di maggio il Presidente Macron ha presentato un importante progetto organico sul rilancio della cultura francese articolato attraverso misure di sostegno e interventi strutturali. Una sorta di Recovery Plan della cultura, destinato a sostenere larte, il teatro, il cinema, le orchestre, i musei, le biblioteche, con incentivi fiscali, sostegni materiali, una rete di sicurezza sociale per i lavoratori che hanno perso il posto di lavoro a causa dei lockdown imposti dalla pandemia.

In Italia un rischio concreto è che i fondi del PNRR stando così le cose possano andare ad abundantiam alle grandi installazioni e ai grandi musei (il direttore degli Uffizi gareggia con il Ministro Franceschini per numero di ospitate televisive) mentre le istituzioni culturali, i piccoli musei e le piccole biblioteche possano ricevere solo una sorta di obolodai fondi europei.

Il rischio è che il nostro Paese finisca per perdere una delle sue filiere produttive e identitarie più importanti. Per evitarlo bisognerebbe presentare in tempi ragionevoli un piano nazionale di organizzazione del consumo culturale e di finanziamento della sua attività produttiva e di tutela e conservazione del patrimonio. Bisognerebbe anche esercitare una sorta di moral suasion nei confronti delle grandi piattaforme digitali, affinché possano restituire il favore alla comunità sostenendo finanziariamente una produzione culturale di prossimità”. Senza la sua fiorente produzione culturale, infatti, lItalia non sarebbe più il Belpaese. La cultura è pensiero critico, liberta e ricchezza della nazione.

Il futuro che ci attende in assenza di correttivi – è una progressiva desertificazione del nostro patrimonio culturale. O ci si rende conto che siamo sullorlo di un precipizio e che migliaia di persone rischiano di restare ai margini, oppure non avremo più una industria culturaledomestica. Tertium non datur. Tutti lo sanno, eppure sembra prevalere la rassegnazione e la rinuncia. Dovremmo cercare di impedirlo.