Nel mese di agosto si è animato un dibattito politico a seguito della consultazione attraverso la quale il M5S ha rimosso la pregiudiziale nei confronti di possibili alleanze con altre forze politiche; un clamore forse eccessivo per una decisione scontata, visto che nei fatti il tabù era stato già rimosso sul piano nazionale per ben due volte, peraltro per dare vita a due governi di segno opposto tra loro.

La decisione ha infatti creato più agitazione all’interno del Partito Democratico di quanta ne abbia creata all’interno del Movimento stesso.

Le valutazioni nel PD hanno oscillato dalla mal celata esultanza di chi ha intravisto la possibilità di utilizzare questa opportunità per rafforzare l’attuale coalizione di governo con ulteriori declinazioni di carattere locale e chi invece vive con preoccupazione la possibilità di dare vita ad alleanze organiche con i cinque stelle.

Prima di qualunque valutazione è bene ricordare che nella politica il voto è una scelta e le alleanze sono una necessità, anche se il pensiero degasperiano ci indurrebbe a considerare le alleanze come un valore aggiunto prescindendo dalla loro necessità in termini strettamente numerici

Credo che sul tema non si possa fare una valutazione che sia frutto solo di simpatie o antipatie nei confronti del M5S, tralasciando delle considerazioni più generali sulla fragilità del nostro sistema democratico, sul permanente rischio di involuzioni sovraniste antieuropee e sulle tentazioni di qualcuno di puntare ad avere i famigerati “pieni poteri”.

Perché se non si desse valore a quel rischio per la nostra democrazia, tanto varrebbe rimettere in discussione il governo e l’accordo che ne permise la nascita lo scorso anno. Se invece diamo il giusto peso a quel rischio democratico, allora ha senso dare continuità all’attuale alleanza di governo nazionale ed è coerente anche fare delle scelte che – direttamente o indirettamente – contribuiscano a stabilizzare il quadro politico di maggioranza parlamentare posta a sostegno del governo stesso; in questa logica un’intesa con i partner di governo per conseguire il miglior risultato possibile in importanti città (sempre con l’eccezione di Roma per quanto già esposto in altre note) e regioni del Paese è una cosa opportuna e forse perfino necessaria.

Analisi tese ad evidenziare solo le differenze e le difficoltà di questa possibile alleanza, rischiano di portarci a delle conclusioni quantomeno parziali.

Vale infatti la pena ricordare che già nella (cosiddetta) prima repubblica la politica delle alleanze ha caratterizzato un significativo periodo di storia del nostro paese, mettendo insieme forze politiche che avevano tra loro ben più di qualche differenza. La Democrazia Cristiana – per ragioni ritenute in  quel momento importanti per la tenuta del sistema democratico del Paese – fece un accordo politico di governo con il PSI pur nella diversità di vedute su molte questioni e pur nella diversità di prospettiva, visto che i socialisti in molte amministrazioni locali erano parte integrante delle giunte di sinistra e confermavano che il loro obiettivo strategico era quello di dare vita anche a livello nazionale all’alternativa di sinistra; un’alternativa che i socialisti non fecero mai nascere perché i numeri elettorali e parlamentari ne avrebbero inevitabilmente assegnato la guida al PCI.

Per chi è preoccupato per le differenze tra gli attuali partner di governo, è utile  anche una ulteriore considerazione su quel che impropriamente è passato alla storia come “compromesso storico” ovvero l’accordo DC-PCI (1978) che ebbe come principali protagonisti Moro e Berlinguer, entrambi impegnati in duri confronti all’interno ed all’esterno dei loro partiti per far digerire un’intesa che metteva insieme due forze che fino a quel momento si erano articolate su posizioni diversissime ed inconciliabili in termini di politica interna e soprattutto di politica estera; giova rammentare che eravamo negli anni della guerra fredda tra est ed ovest e che le due superpotenze USA e URSS non tolleravano divagazioni da parte dei paesi rientranti nella rispettiva area d’influenza. In quel periodo storico gli Stati Uniti uscivano da una presidenza Nixon-Ford con un certo Kissinger (Segretario di Stato USA) che non esitava a fare minacce, anche pesanti, per scoraggiare ogni tentativo di sterzare a sinistra; e forse non a caso l’accordo DC-PCI prese forma solo dopo l’entrata alla Casa Bianca del nuovo Presidente, il democratico Jimmy Carter. Moro in particolare dovette fare i conti anche con le resistenze della parte più conservatrice della gerarchia cattolica che espresse la sua contrarietà avvolte in modo anche veemente. Non mi soffermerò ulteriormente sugli ostacoli e le difficoltà per le quali i suddetti protagonisti pagarono anche in termini personali, ma quelle erano certamente delle condizioni che meritavano di essere definite “difficili” e che richiedevano scelte davvero coraggiose.

Quella di oggi è un’altra stagione politica; una stagione in cui purtroppo non ci sono i Moro e i Berlinguer, ma oggettivamente non ci sono neanche le difficoltà di carattere nazionale ed internazionale fin qui descritte.

Quindi è bene che siano stati rimossi dei pregiudizi ad accordi tra partner di governo, ma al tempo stesso sarebbe sbagliato e addirittura presuntuoso pensare di imporre da Roma le alleanze politiche per ogni regione, provincia o comune del Paese. E’ invece necessario che in ciascun contesto territoriale i partiti lascino spazio al confronto politico locale, affinché sulla base della qualità dell’amministrazione e delle proposte programmatiche si possa verificare la possibilità di dare vita ad accordi elettorali.

E’ un modo per rispettare i territori e la volontà degli elettori che sono chiamati a scegliere i propri amministratori; è un modo per ridare un ruolo alla politica come attività di confronto e di aggregazione del consenso per la ricerca del bene comune.