POPOLARI, USCIRE DAL LETARGO.

Forse è arrivato il momento di far uscire la vera, e storica, esperienza dei Popolari dall’immobilismo politico e organizzativo. Occorre procedere con rinnovato entusiasmo, passando dalla rete organizzativa disseminata in tutto il paese alla storica testata del “Popolo”; dalla classe dirigente ancora presente nei territori ad una cultura politica che si rende, adesso, indispensabile per recuperare qualità e autorevolezza della politica italiana nel suo complesso.

Il quadro politico italiano dopo il voto del 25 settembre e la schiacciante vittoria della coalizione di centro destra si è riaperto. Profondamente riaperto. Anche perchè quando si apre una nuova fase politica è di tutta evidenza che il passato, anche se recente, rischia di essere rapidamente archiviato. E tra le molte novità con cui dovremmo fare i conti spicca anche, e soprattutto, il decollo di un Centro politico che riproporrà, almeno speriamo, una sempre più necessaria ed indispensabile “politica di centro”. 

Ed è proprio lungo questo solco che si pone, anzi si ripropone, la questione cruciale della presenza politica dei Popolari. O meglio, di un’area politica e culturale che, piaccia o non piaccia, continua ad essere attuale, moderna e contemporanea. E non si tratta, lo dico con chiarezza, di riproporre per l’ennesima volta esperienze testimoniali che sono politicamente irrilevanti ed elettoralmente inconsistenti. Esperienze che hanno costellato le ultime, e sporadiche, presenze di esponenti dell’area popolare nell’agone politico nazionale.

Ora, forse, è arrivato anche il momento di far uscire la vera, e storica, esperienza dei Popolari dal letargo politico e dall’immobilismo organizzativo. Come si suol dire in gergo, sono cambiate le condizioni politiche generali. Se da un lato la prospettiva del principale partito della sinistra italiana, cioè il Pd, è in lento declino con un progetto politico sempre più in sintonia con la sinistra populista, qualunquista e demagogica dei 5 stelle, è altrettanto vero che sull’altro versante la categoria politica del Centro si è, almeno per il momento, fortemente appannata. Ed è proprio in questo quadro che si inserisce, lo ripeto, la necessità di far ritornare protagonista la cultura e la politica del popolarismo di ispirazione cristiana. Certo, non possiamo dimenticare la presenza del “terzo polo” di Renzi e di Calenda che, come ovvio, si candida a rappresentare questo luogo politico, peraltro decisivo ed essenziale, nella storia democratica del nostro paese. Una presenza politica che, però, non potrà che essere plurale e attraverso un soggetto politico non ancorato a quel modello di “partito personale” che sarebbe la negazione stessa della cultura e della storia del popolarismo di ispirazione cristiana.

Ma, al di là di questa fotografia, peraltro oggettiva e del tutto scontata, quello che va sottolineato e richiamato con forza è che “l’attrezzatura” politica, organizzativa ed editoriale dei Popolari va fatta emergere, adesso, in tutta la sua ricchezza e modernità. Dalla rete organizzativa disseminata in tutto il paese alla storica testata del “Popolo”; dalla classe dirigente ancora presente nei territori ad una cultura politica che si rende, adesso, indispensabile per recuperare qualità e autorevolezza della politica italiana nel suo complesso. E, forse, anche qualità della nostra democrazia.

E, per fare un passo ulteriore, è finita la stagione in cui un filone di pensiero come il popolarismo è destinato ad essere una semplice e banale corrente del Partito democratico – peraltro sempre più irrilevante ed insignificante – o ad una presenza personale, e quindi marginale, in altri partiti e contenitori e, men che meno, ad un ruolo puramente testimoniale. Occorre, cioè, tornare protagonisti a livello politico e nel dibattito politico. Partendo, come ovvio, da ciò che abbiamo nel nostro zaino. E da sempre.

Questa è la vera sfida, e forse, la vera scommessa politica, culturale ed organizzativa del mondo e dell’area Popolare nel nostro paese. Lo chiedono gli amici, lo desiderano i simpatizzanti, lo auspicano molti settori politici, culturali e sociali e, soprattutto, lo impone la fase storica che stiamo vivendo. Non possiamo, per citare la Lettera Apostolica di Paolo VI del 1971, ‘Octogesima Adveniens’, essere accusati di “peccato di omissione” in questa precisa stagione politica. Ne va anche della nostra credibilità e della nostra serietà. Politica e personale.