Nel discorso del 1° maggio 1955, in occasione del decimo anniversario delle ACLI, Pio XII ripropose san Giuseppe come patrono e modello al mondo del lavoro, e istituì la festa liturgica di san Giuseppe artigiano. 

Poco più di dieci anni or sono, l’11 marzo 1945, in un momento delicato della storia della Nazione italiana, e specialmente della classe lavoratrice, Noi ricevemmo per la prima volta in Udienza le Acli. Sappiamo, diletti figli e figlie, che voi tenete in grande onore quel giorno, in cui aveste il pubblico riconoscimento della Chiesa, la quale, nel lungo corso della sua storia, è sempre stata premurosa di corrispondere alle necessità dei tempi, ispirando ai fedeli il pensiero e il proposito di unirsi in particolari Associazioni a tale scopo. Così le Acli entrarono in scena, con l’approvazione e la benedizione del Vicario di Cristo.

Fin dalle origini Noi mettemmo le vostre Associazioni sotto il potente patrocinio di S. Giuseppe. Non vi potrebbe essere infatti miglior protettore per aiutarvi a far penetrare nella vostra vita lo spirito del Vangelo. Come invero allora dicemmo (cfr. Discorsi e Radiomessaggi, vol. VII, pag. 10), dal Cuore dell’Uomo-Dio, Salvatore del mondo, questo spirito affluisce in voi e in tutti gli uomini; ma è pur certo che nessun lavoratore ne fu mai tanto perfettamente e profondamente penetrato quanto il Padre putativo di Gesù, che visse con Lui nella più stretta intimità e comunanza di famiglia e di lavoro. Così, se voi volete essere vicini a Cristo, Noi anche oggi vi ripetiamo « Ite ad Ioseph »: Andate da Giuseppe! (Gen. 41, 55).

Le Acli dunque debbono far sentire la presenza di Cristo ai loro propri membri, alle loro famiglie e a tutti quelli che vivono nel mondo del lavoro. Non vogliate mai dimenticare che la vostra prima cura è di conservare e di accrescere la vita cristiana nel lavoratore. A tal fine non basta che soddisfacciate e esortiate a soddisfare gli obblighi religiosi; occorre anche che approfondiate la vostra conoscenza della dottrina della fede, e che comprendiate sempre meglio ciò che importa l’ordine morale del mondo, stabilito da Dio, insegnato e interpretato dalla Chiesa, in ciò che concerne i diritti e i doveri del lavoratore di oggi.

Noi quindi benediciamo questi vostri sforzi, e specialmente i corsi e le lezioni che opportunamente organizzate, non meno che i sacerdoti e i laici che vi prestano l’opera loro come insegnanti. Non si farà mai abbastanza in questo campo; tanto grande è il bisogno di una formazione metodica, attraente e sempre adattata alle circostanze locali. Si eviti con ogni premura che il felice esito del lavoro generoso, speso per stabilire ed estendere il regno di Dio, venga intralciato o fatto naufragare col cedere ad ambizioni personali o a rivalità di gruppi particolari. Sappiano le Acli che avranno sempre il Nostro appoggio, finchè si atterranno a queste norme e daranno alle altre organizzazioni l’esempio di uno zelo disinteressato nel servizio della causa cattolica.

Da lungo tempo pur troppo il nemico di Cristo semina zizzania nel popolo italiano, senza incontrare sempre e dappertutto una sufficiente resistenza da parte dei cattolici. Specialmente nel ceto dei lavoratori esso ha fatto e fa di tutto per diffondere false idee sull’uomo e il mondo, sulla storia, sulla struttura della società e della economia. Non è raro il caso in cui l’operaio cattolico, per mancanza di una solida formazione religiosa, si trova disarmato, quando gli si propongono simili teorie; non è capace di rispondere, e talvolta persino si lascia contaminare dal veleno dell’errore.

Questa formazione le Acli debbono dunque sempre più migliorare, persuase come sono che esercitano in tal guisa quell’apostolato del lavoratore fra i lavoratori, che il Nostro Predecessore Pio XI di f. m. auspicava nella sua Enciclica « Quadragesimo anno » (cfr. Acta Ap. Sedis, vol. XXIII pag. 226). La formazione religiosa del cristiano, e specialmente del lavoratore, è uno degli offici principali dell’azione pastorale moderna. Come gl’interessi vitali della Chiesa e delle anime hanno imposto la istituzione di scuole cattoliche per i fanciulli cattolici, così anche la vera e profonda istruzione religiosa degli adulti è una necessità di primo ordine. In tal modo voi siete sulla buona via; continuate con coraggio e perseveranza, e non lasciatevi sviare da erronei principi.

Poichè questi erronei principi sono all’opera! — Quante volte Noi abbiamo affermato e spiegato l’amore della Chiesa verso gli operai! Eppure si propaga largamente l’atroce calunnia che « la Chiesa è alleata del capitalismo contro i lavoratori »! Essa, madre e maestra di tutti, è sempre particolarmente sollecita verso i figli che si trovano in più difficili condizioni, e anche di fatto ha validamente contribuito al conseguimento degli onesti progressi già ottenuti da varie categorie di lavoratori. Noi stessi nel Radiomessaggio natalizio del 1942 dicevamo: « Mossa sempre da motivi religiosi, la Chiesa condannò i vari sistemi del socialismo marxista, e li condanna anche oggi, com’è suo dovere e diritto permanente di preservare gli uomini da correnti e influssi, che ne mettono a repentaglio la salvezza eterna. Ma la Chiesa non può ignorare o non vedere che l’operaio, nello sforzo di migliorare la sua condizione, si urta contro qualche congegno, che, lungi dall’essere conforme alla natura, contrasta con l’ordine di Dio e con lo scopo che Egli ha assegnato per i beni terreni. Per quanto fossero e siano false, condannabili e pericolose le vie, che si seguirono; chi, e soprattutto qual sacerdote o cristiano, potrebbe restar sordo al grido, che si solleva dal profondo, e il quale in un inondo di un Dio giusto invoca giustizia e spirito di fratellanza? » (Discorsi e Radiomessaggi, vol. IV pag. 336- 337).

Gesù Cristo non attende che Gli si apra il cammino per penetrare le realtà sociali, con sistemi che non derivano da Lui, si chiamino essi « umanesimo laico » a « socialismo purgato dal materialismo ». Il suo regno divino di verità e di giustizia è presente anche nelle regioni ove l’opposizione fra le classi minaccia incessantemente di avere il sopravvento. Perciò la Chiesa non si restringe ad invocare questo più giusto ordine sociale, ma ne indica i principi fondamentali, sollecitando i reggitori dei popoli, i legislatori, i datori di lavoro e i direttori delle imprese di metterli ad esecuzione.

Ma il Nostro discorso si volge ora particolarmente ai cosiddetti «, delusi » fra i cattolici italiani. Non mancano essi infatti, soprattutto fra giovani anche di ottime intenzioni, i quali avrebbero aspettato di più dall’azione delle forze cattoliche nella vita pubblica del Paese.

Noi non parliamo qui di coloro, il cui entusiasmo non è sempre accompagnato da un calmo e sicuro senso pratico riguardo a fatti presenti e futuri e alle debolezze dell’uomo comune. Ci riferiamo piuttosto a quelli, i quali riconoscono bensì i notevoli progressi conseguiti nonostante la difficile condizione del Paese, ma risentono dolorosamente che le loro possibilità e capacità, di cui hanno piena consapevolezza, non trovano campo per essere messe in valore. Senza dubbio essi avrebbero una risposta al loro lamento, se leggessero attentamente il programma delle Acli, che esige la partecipazione effettiva del lavoro subordinato nella elaborazione della vita economica e sociale della Nazione e chiede che nell’interno delle imprese ognuno sia realmente riconosciuto come un vero collaboratore.

Non abbiamo bisogno d’insistere su questo argomento, da Noi stessi già sufficientemente trattato in altre occasioni. Ma vorremmo richiamare l’attenzione di quei delusi sul fatto che né nuove leggi né nuove istituzioni sono bastevoli per dare al singolo la sicurezza di essere al riparo da ogni costrizione abusiva e di potersi liberamente evolvere nella società. Tutto sarà vano, se l’uomo comune vive nel timore di subire l’arbitrio e non perviene ad affrancarsi dai sentimento che egli sia soggetto al buono o cattivo volere di coloro che applicano le leggi o che come pubblici ufficiali dirigono le istituzioni e le organizzazioni; se Si accorge che nella vita quotidiana tutto dipende da relazioni, che egli forse non ha, a differenza di altri; se sospetta che, dietro la facciata di quel che si chiama Stato, si cela il giuoco di potenti gruppi organizzati.

L’azione delle forze cristiane nella vita pubblica importa dunque certamente che si promuova la promulgazione di buone leggi e la formazione di istituzioni adatte ai tempi; ma significa anche più che si bandisca il dominio delle frasi vuote e delle parole ingannatrici, e che l’uomo comune si senta appoggiato e sostenuto nelle sue legittime esigenze ed attese. Occorre formare una opinione pubblica che, senza cercare lo scandalo, indichi con franchezza e coraggio le persone e le circostanze, che non sono conformi alle giuste leggi ed istituzioni, o che nascondono slealmente ciò che è vero. Non basta per procurare l’influsso al semplice cittadino il mettergli in mano la scheda di voto o altri simili mezzi. Se egli vuol essere associato alle classi dirigenti, se vuole, per il bene di tutti, porre talvolta rimedio alla mancanza di idee proficue e vincere l’egoismo invadente, deve possedere egli stesso le intime energie necessarie e la fervida volontà di contribuire ad infondere una sana morale in tutto l’ordinamento pubblico.

Ecco il fondamento della speranza che Noi esprimevamo alle Acli or sono dieci anni e che ripetiamo oggi con raddoppiata fiducia dinanzi a voi. Nel movimento operaio possono subire reali delusioni soltanto coloro, che dirigono il loro sguardo unicamente all’aspetto politico immediato, al giuoco delle maggioranze. L’opera vostra si svolge nello stadio preparatorio — e così essenziale — della politica. Per voi si tratta di educare ed avviare il vero lavoratore cristiano mediante la vostra « formazione sociale» alla vita sindacale e politica e di sostenere e facilitare tutta la sua condotta per mezzo della vostra « azione sociale » e del vostro « servizio sociale ». Continuate dunque senza debolezze l’opera finora prestata; in tal guisa aprirete a Cristo un adito immediato nel mondo operaio, e mediatamente poi anche negli altri gruppi sociali. È questa l’« apertura » fondamentale, senza la quale ogni altra « apertura » in qualunque senso non sarebbe che una capitolazione delle forze che si dicono cristiane.

Diletti figli e figlie, presenti in questa sacra Piazza; e voi lavoratori e lavoratrici del mondo tutto, che Noi teneramente abbracciamo con paterno affetto, simile a quello con cui Gesù avvinceva a sè le moltitudini fameliche di verità e di giustizia; siate certi che in ogni occorrenza avrete al vostro fianco una guida, un difensore, un Padre.

DiteCi apertamente, sotto questo libero cielo di Roma: Saprete voi riconoscere, tra tante voci discordi e ammalianti a voi rivolte da varie parti, alcune per insidiare le vostre anime, altre per umiliarvi come uomini, o per defraudarvi dei legittimi vostri diritti come lavoratori, saprete riconoscere chi è e sarà sempre la vostra sicura guida, chi il fedele vostro difensore, chi il sincero vostro Padre?

Si, diletti lavoratori; il Papa e la Chiesa non possono sottrarsi alla divina missione di guidare, proteggere, amare soprattutto i sofferenti, tanto più cari, quanto più bisognosi di difesa e di aiuto, siano essi operai o altri figli del popolo.

Questo dovere ed Impegno Noi, Vicario di Cristo, desideriamo di altamente riaffermare, qui, in questo giorno del 1° maggio, che il mondo del lavoro ha aggiudicato a sé, come propria festa, con l’intento che da tutti si riconosca la dignità del lavoro, e che questa ispiri la vita sociale e le leggi, fondate sull’equa ripartizione di diritti e di doveri.

In tal modo accolto dai lavoratori cristiani, e quasi ricevendo il crisma cristiano, il 1° maggio, ben lungi dall’essere risveglio di discordie, di odio e di violenza, è e sarà un ricorrente invito alla moderna società per compiere ciò che ancora manca alla pace sociale. Festa cristiana, dunque; cioè, giorno di giubilo per il concreto e progressivo trionfo degli ideali cristiani della grande famiglie del lavoro.

Affinchè vi sia presente questo significato, e in certo modo quale immediato contraccambio per i numerosi e preziosi doni, arrecatici da ogni regione d’Italia, amiamo di annunziarvi la Nostra determinazione d’istituire — come di fatto istituiamo — la festa liturgica di S. Giuseppe artigiano, assegnando ad essa precisamente il giorno 1° maggio. Gradite, diletti lavoratori e lavoratrici, questo Nostro dono? Siamo certi che sì, perchè l’umile artigiano di Nazareth non solo impersona presso Dio e la S. Chiesa la dignità del lavoratore del braccio, ma è anche sempre il provvido custode vostro e delle vostre famiglie.

Con tale augurio sulle labbra e nel cuore, diletti figli e figlie, e con la certezza che ricorderete questa giornata così densa di santi propositi, così fulgida di buone speranze, così promettente per quanto è stato compiuto, invochiamo dall’Altissimo le più elette benedizioni su di voi, sui vostri congiunti, sui degenti negli ospedali e nei sanatori, sui campi e le officine, sulle vostre Acli e sulla loro grande e nobile attività, sui datori di lavoro, sulla diletta Italia e sul mondo tutto del lavoro, a Noi sempre caro. Discenda dai cieli sulla terra, da voi lavorata e fecondata in ossequio al primordiale divino precetto, la Nostra paterna Apostolica Benedizione!