Ventotto minuti di discorso e quattro o cinque concetti. A rileggere il discorso di Putin – quello che annunciava l’aggressione alla Ucraina – si scopre il carattere propagandistico delle sue argomentazioni.

Poche parole, per confermare quella che è l’evidenza sotto gli occhi di tutti: Vladimir Putin è figlio di una visione distorta della Storia che egli stesso alimenta e di cui resta vittima. I minuti del discorso con cui ha annunciato l’aggressione all’Ucraina sono ventotto, i concetti molti meno: quattro o cinque, a voler essere generosi. Tre, a voler essere esatti. Tutti sbagliati, tutta propaganda, ad iniziare dalla premessa storica più volte citata: il 1941 e l’Operazione Barbarossa. Di lì conviene iniziare.

“Non ci faranno quello che ci hanno fatto nel 1941” ripete almeno tre volte Putin parlando dei tentativi russi di prevenire con l’esposizione delle buone ragioni del Cremlino l’attacco a sorpresa dei nazisti. Il quale attacco fu per l’appunto a sorpresa, quindi non c’era stato alcun precedente tentativo di dissuasione. C’era stato, semmai, un protocollo segreto al patto di non aggressione firmato da Berlino e Mosca, ma questo Putin si guarda bene dal rievocarlo perché rappresenta la prova di una duplice, scomodissima realtà, e cioè che il Cremlino era stato complice dei nazisti e carnefice di un Paese vicino, slavo anch’esso nonché già parte del suo Impero. E che ha le sue responsabilità nello scoppio del più tremendo conflitto di tutti i tempi, quello che adesso a Mosca si chiama “Grande guerra patriottica”. Alludiamo al Patto Ribbentrop-Molotov per la spartizione della Polonia, siglato nell’agosto del 1939 mentre si cannoneggiava Danzica e tenuto nascosto per interi decenni. Putin evoca la lotta ai nazisti, che effettivamente costò la vita a venti milioni di russi e permise la sconfitta di Hitler grazie ad una guerra su due fronti, ma si guarda bene da spiegarne tutte le cause.

Per quattro volte il presidente russo ha equiparato gli ucraini a dei nazisti. Lo ha fatto per toccare le corde profonde dell’opinione pubblica interna: la Guerra Fredda è stata persa, quella in Afganistan è servita da prologo all’analoga figuraccia degli americani. Il ’45 è un ricordo molto più piacevole, il nemico di allora resta oggi nell’immaginario collettivo come una giustificatissima rappresentazione del Male Assoluto. È vero, poi, che quando la Wehrmacht penetrò nelle pianure ucraine ci furono in tanti a vedere negli invasori dei liberatori, e senza pensare alle conseguenze si misero a collaborare. Ma attenzione: questo non portò alla nazificazione dell’Ucraina, perché gli ucraini slavi erano e slavi restavano agli occhi dei malintesi amici: razza subumana con tutte le conseguenze del caso. Quando Putin pala di nazisti, insomma, indica gli indipendentisti. Tra le due cose c‘è una bella differenza. Tanto più che l’Ucraina aveva vissuto nel decennio precedente lo sterminio dei kulaki ordinato a sangue freddo dal Cremlino, e se Mosca ha la memoria lunga la cosa vale anche per Kiev. Una decina di milioni di morti, quasi quanto l’Olocausto. Uno storico tedesco di rango, Ernst Nolte, non a caso si richiamava a questo precedente per accomunare Stalin a Hitler e Mussolini in quelli che chiamava i Tre Volti del Fascismo.

I nazisti richiamano la memoria dell’Olocausto e del genocidio, concetti che Putin applica alla politica seguita da Kiev nei confronti della forte minoranza russofona. Scorriamo gli ultimi rapporti annuali di Amnesty International: di genocidio nessuna denuncia; semmai di violenze perpetrate dopo la ribellione del Donbass numerose, e da entrambi le parti. I diritti dell’uomo sono stati vilipesi a causa proprio della secessione, il rapporto causa-effetto va quindi rovesciato. Aggiungiamo, ricordando che questa crisi tremenda inizia quando l’Ucraina nel 2013 tenta di associarsi non alla Nato, ma all’Unione Europea, che in Estonia vigevano una volta leggi discriminatorie contro la locale minoranza russa. Tallin chiese l’ingresso nell’Ue e le fu risposto che i nostri parametri di democrazia sono stringenti, quindi delle due l’una: via quelle leggi o addio ingresso nel club più esclusivo del mondo. Le leggi sparirono d’incanto. Se Putin avesse lasciato fare gli europei, lui che giustamente si ritiene europeo fino al midollo, oggi avremmo la pace ed una minoranza russofona trattata con tutti i dovuti e legittimi riguardi.

In conclusione, però, dobbiamo ammettere che su una cosa, nel suo discorso dell’altro giorno, Putin ha perfettamente ragione (e lo facciamo senza problemi: la verità non deve far paura). Ha ragione quando dice che la guerra del 2003 in Iraq fu un atto d’aggressione compiuto sulla base di una bugia. Tutto vero: fa male, ma è così. E allora ci si ricordi che, quando si è una democrazia, certi standard politici, etici e morali vanno rispettati. Sennò si rischia di perdere se stessi, o almeno di preparare qualche freccia per l’arco del più grande bugiardo del XXI Secolo.