Giorgio Merlo, giustamente, commenta il recente incontro sul “futuro della sinistra” promosso dalla Fondazione ItalianiEuropei con parole di stima e di considerazione della capacità politica di Massimo D’Alema.

Rispetto alla statura di molti dei leader attuali, appare effettivamente su un pianeta diverso.

Ma questa considerazione non attenua per nulla la portata di due domande che sorgono spontanee.

Primo: la “sinistra” di cui si parla che cosa è? Un partito? Una riforma evolutiva o una ripartenza del PD? Una coalizione? Una via di mezzo, tipo “Ulivo”? Un movimento “pre politico”?

Secondo: al netto della condivisibile constatazione che destra e sinistra non sono la stessa cosa (per i popolari “veri” non è una novità), attorno a quale visione di società si intende riorganizzare questo nuovo ciclo della “sinistra”?

Le due linee emerse negli ultimi decenni scontano pesanti fallimenti.

La sinistra della “terza via” ha sposato senza alcuna forma di “tenuta valoriale” la globalizzazione economica ed ha perso molta della sua capacità di rappresentanza dei ceti popolari e dei territori non metropolitani.

La sinistra della “conservazione” ha dimostrato di non cogliere i segni dei tempi ed ha pensato che i valori del novecento fossero difendibili con le ricette del “tempo che fu”.
Due fallimenti speculari che hanno creato le basi per il successo della destra populista.

Forse, allora, più che di un “cantiere della sinistra” abbiano bisogno di nuovi paradigmi del pensiero democratico e sociale.

Dentro i quali ogni cultura politica deve riprogettarsi e rigenerarsi, senza nessuna presunzione di auto sufficienza ma anche senza nessuna paura di “esistere”.