Quale lezione ricavare dalla rielezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica?

Sono manifeste le criticità del sistema politico italiano con leadership autoreferenziali e partiti dilaniati da una feroce conflittualità. La crisi si risolve con l’elezione diretta del Presidente? Non è una soluzione convincente. La democrazia parlamentare anche stavolta ha dato prova dì vitalità. Altri sono i rimedi per “sbloccare” la politica.

Sono stati necessari otto scrutini per arrivare alla rielezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica. Le votazioni ripetute, le schede bianche, le trattative sono una costante delle elezioni presidenziali. Nondimeno, in quest’ultima occasione le richieste di “fare presto” avanzate dall’opinione pubblica e dalla stampa sono state incalzanti. Possono ben essere comprese le ragioni contingenti alla base di questa richiesta: la perdurante emergenza pandemica, la crisi economica, i problemi derivanti dall’approvvigionamento energetico, solo per limitarsi ai più tangibili. Pure manifeste sono le criticità del sistema politico italiano con leadership autoreferenziali e partiti dilaniati da una feroce conflittualità esterna e da lotte interne. Ma ancor più a monte preoccupa la quasi totale assenza di progettualità e la mancanza di una visione politico-ideale.

A fronte di questi problemi evidenti, tuttavia, la denuncia della lentezza del Parlamento nella dinamica delle elezioni presidenziali rischia di alimentare risposte fuori fuoco, con argomenti pretestuosi o persino pericolosi per la democrazia. Così da più parti si è alzato il vento, mai sopito, che spinge verso il mutamento della forma di governo con l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Ma davvero, in questo caso, l’argomento prova troppo ed anzi, se mai, dimostra il contrario poiché la democrazia parlamentare ha dato stavolta prova di vitalità, confermando quanto sia calzante nel nostro ordinamento costituzionale la forma di governo parlamentare, per cui, d’altra parte, i Padri costituenti avevano optato quasi pacificamente. L’elezione di secondo grado del Presidente della Repubblica ha dato storicamente ottima prova nel sistema costituzionale, se solo si pensa al notevole gradimento politico che i diversi Capi dello Stato che si sono succeduti hanno fatto registrare, sempre di gran lunga superiore ad ogni altra carica pubblica. La figura del Presidente della Repubblica, così come tratteggiata in Costituzione, ha mostrato un rendimento straordinario. Le necessarie riforme che si invocano a ragione dovrebbero interessare, perciò, altri istituti.

Eppure, lo spettacolo che gli attori hanno offerto in quest’occasione non è edificante perché si è percepita la sensazione che prevalessero gli interessi particolari più che la ricerca di una soluzione volta a perseguire l’interesse della collettività. La rielezione di un Presidente della Repubblica è, poi, di per sé, il sintomo di un guasto nel sistema politico. Ma il problema è di metodo e di cultura politica, non di regole. Lo dimostra da tempo anche il meccanismo inceppato dell’elezione dei Presidenti delle Camere, eletti non secondo logiche di condivisione, ma a colpi di maggioranza.

Occorre prestare attenzione anche a non enfatizzare la critica populista circa la presunta lentezza dimostrata dal Parlamento in quest’occasione perché, come anticipato, si rischia di alimentare una miccia incendiaria che può condurre verso derive antidemocratiche: sullo sfondo sembra di avvertire una preoccupante stanchezza verso la democrazia e di insofferenza verso le sue liturgie e i suoi tempi. È necessario, invece, difendere il ruolo del Parlamento e mettere in risalto come, in quest’occasione, i parlamentari, nella loro collegialità, abbiano saputo superare lo stallo provocato da alcuni leaders. Se ne ricava la lezione che la decisione collegiale ha condotto il Paese verso la soluzione a quel punto ottimale, mentre la personalità dei capi degli schieramenti lo stava conducendo verso una crisi al buio. 

L’epilogo della vicenda che si è appena conclusa, allora, costituisce un formidabile argomento a favore della democrazia parlamentare. Come anche rappresenta un baluardo per difendere la libertà del parlamentare da ogni forma di vincolo di mandato, come vuole l’art. 66 della Costituzione, da tempo, invece, diventato bersaglio di alcune proposte di revisione costituzionale. Cosa sarebbe successo oggi senza il divieto di mandato imperativo, con parlamentari costretti ad obbedire alla volontà non proprio chiara delle loro guide politiche? Se questo è vero, il rimedio proposto ai mali della politica non può essere quello di inserire ulteriori elementi di personalizzazione della politica e di verticalizzazione del potere. 

La questione di cui discutere non attiene alle modalità di elezione del Presidente della Repubblica, perché quando sono gli interpreti ad eseguire male uno spartito si interviene sui primi, non sul secondo. È tempo, invece, di pretendere una nuova centralità degli elettori attraverso la restituzione di due diritti che sono stati da tempo espropriati: la partecipazione politica e il diritto di votare effettivamente i parlamentari. Per tornare a restituire ai cittadini il primo diritto evocato non v’è altra strada che ristrutturare i partiti politici che dovrebbero garantire democrazia interna, in modo da riconoscere a tutti i cittadini il diritto di concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, secondo il figurino offerto dall’art. 49 della Costituzione. Per ripristinare il secondo diritto, occorre, invece, approvare una legge elettorale che abbandoni il meccanismo delle liste bloccate e che consenta di selezionare i singoli rappresentanti parlamentari. Queste due ineludibili riforme permetterebbero, la prima, di incidere sulla formazione delle liste elettorali e, la seconda, di riavvicinare i parlamentari alla società civile e ai reali bisogni della popolazione. Diversamente, come si farebbe a consentire quel ricambio della classe politica che molti ritengono necessario?

 

Antonio Iannuzzi, Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico (Università degli Studi – Roma Tre).